Magazine Diario personale

Panta Rei

Creato il 17 luglio 2015 da Bellatrix74

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Oggi è uscito il disco che mi salverà la vita. L’ho aspettato senza saperlo. Da settimane sono entrata nel meraviglioso periodo più difficile della mia vita, fino a questo momento. Dico meraviglioso perché so che un giorno ricorderò ogni dettaglio, colore e suono di questi giorni così importanti e brutti. La meraviglia è in ciò che resta immobile nel tempo, come uno scoglio nel fiume, mentre  il resto gli passa intorno, senza scalfirlo mai. La maggior parte della musica, soprattutto per me, è una specie di piacevole rumore di fondo. L’emergenza del ricordo in certi casi è data solo dalla necessità spicciola che si risolve in appunti sparsi, playlist su soptify, qualche cd con la linguetta che esce fuori dalla libreria, per lavorare anche quando nella mente quel titolo esatto per richiamare il contesto del discorso, non c’è. Altre volte invece una parola, la vista di un oggetto, una notizia, mi riportano all’istante, mentre sono in diretta, a cose e canzoni del passato così chiare, nitide, come fossero di oggi. A quel punto, in un attimo supero il piccolo dramma dell’interferenza del personale nel fluire del discorso mandando su quella canzone importante che suona già nella mia testa, senza aggiungere altro. E sono salva. Questo è il senso di Currents, credo. Ogni cosa fluisce nel tempo, rivelando in ogni secondo, nuovi aspetti della sua essenza e apparendoci per questo diversa. Panta rei. Tranne che in alcuni momenti. Il momento in cui capisci che una cosa è finita. Quando incontri per caso un vecchio amore e per un secondo ti sembra di essergli ancora accanto. Quando fai un errore consapevolmente e sai che continuerà a essere sempre lì per te, monito o tortura. Quell’istante in cui decidi di cambiare e di  non tornare mai più indietro. Un po’ come succede nei sogni. Al risveglio non sai dire esattamente cosa sia successo, quanto sia durato, quante cose tu abbia visto. Ti resta la sensazione dell’accaduto e alcuni dettagli indimenticabili. Se questa fosse una recensione saprei argomentare la mia preferenza per questo disco, rispetto ad altri dei Tame Impala, o di altri. Parlerei dei Daft Punk, dei Bear in Heaven, di Prince and The Revolution, di per quale motivo è il soul che si chiama “anima” e non il rock.  Della psichedelia e del suo perfetto ritorno nei tempi in cui la dipendenza più diffusa è la fuga dalla realtà. Di roba new age tipo le chitarre sono l’elemento terra e i synth sono l’elemento aria. Dell’R&B e della disco music. E mi viene anche da ridere perché lo dico da sempre:  la disco music salverà il mondo. Ma a chi importa davvero la supercazzola musicale? Non importa più nemmeno a me che al primo ascolto di un disco, vaneggiando ad alta voce, uso sempre neologismi infantili tipo “Tum-sta” Pum-cià”, “tunz tunz” “Wah-Wha” e “Uh-babe”. Ma posso dire lo stesso perché Currents è tanto bello per me. Perché è come questo mio momento, nostalgico e arrabbiato allo stesso tempo. E perché invita ad accettare i cambiamenti, con la consapevolezza però che nulla di importante, sarà mai davvero abbandonato.

Come quei giorni, in cui, già grande ma solo per finta, potevo anche litigare con lui e sbraitare sbattendo la porta di casa, dicendomi, ingenua, che tanto ci sarebbe sempre stato per me. Come questi, in cui, inerme, semplicemente aspettando che vada via, vorrei anche per un istante poterlo pensare di nuovo.

I heard about a whirlwind that’s coming ’round
It’s gonna carry off all that isn’t bound
And when it happens, when it happens (I’m gonna be holding on)
So let it happen, let it happen.


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