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Paolo di Orazio: Io e Clive Barker:2° Parte
Creato il 31 dicembre 2012 da Alessandro Manzetti @amanzettiIo e Clive Barker di Paolo di Orazio Per quel che riguarda me, il lavoro di Clive Barker ha rappresentato l'esempio lampante di come bisogna trattare gli argomenti fantastici.
La nostra fantasia deve essere puntualmente urlante, impietosa, materna e materica. Quando molti anni fa dirigevo la rivista «Splatter», pubblicammo un bell'articolo sulla forza evocativa di Barker avvalendoci anche della riproduzione di alcuni dei suoi eloquenti disegni. Erano schizzi in bianco e nero, semplici, istintuali. Dei veri e propri graffiti del dolore, tra l'urbano, il primordiale e il visionario. Praticamente, la conversione grafica stencil di “Macelleria mobile di mezzanotte”, immaginando quei volti deformati dal dolore vergati sulle carrozze del metrò più mortale del mondo. Ebbene, quella semplicità diretta, piena di stile, quasi punk, raffinata nella sua funzione come raffinato può essere un bisturi, un oggetto elementare ma estremamente efficace, è riuscita a entrare anche nelle mie esplorazioni grafiche. Mentre il lavoro linguistico delle traduzioni di Tullio Dobner e Rossella Terrone ha determinato in me la turba maniacale dell'uso della lingua, l'anarchia barkeriana del raffigurare l'horror è diventata una specie di accademia definitiva.
Paolo di Orazio: Underwater Blood In realtà, il mio amore per l'horror ha la mia stessa età, e mi sento figlio dei libri di anatomia umana e dei fumetti che governavano i giorni della mia infanzia. Ho imparato a leggere prima di iniziare la scuola, costringendo mia madre a spiegarmi cosa ci fosse scritto nei balloon dei fumetti: la sua compulsività ha fatto il resto, dedicando gran parte della spesa quotidiana all'acquisto di tutti i comics da edicola e facendomi scoprire poi il gusto dell'acquisto nelle librerie dell'usato. Mi sono vissuto la Pop Art dell'horror dei Marvel Comics e della Warren degli anni '60 e '70 con impeto leopardiano. Per questo, mi è semplice avvertire le connessioni sotterranee tra Lovecraft, il racconto illustrato americano e la gigantologia di Barker in una sorta di horror-wide-web nel tempo e nell'evoluzione del racconto del terrore, e dell'importanza magnifica e imprescindibile dell'elemento sovrannaturale. Da quella mania d'infanzia, da quella dieta cerebrale di orrori su carta, è stato automatico desiderare di produrre altrettanto.
Paolo di Orazio: Siesta of Superpredators I miei disegni raffigurano soggetti isolati nel buio perché mi interessa farli sentire soli, nel loro narcisismo individualista del tormento, in compagnia di un'anima che torce la carne e la deforma come plastilina. La carne dei miei personaggi è quasi liquida, come molli sono le loro ossa. Il mio amore per l'anatomia umana è immenso e, se potessi, senza cagionare dolore e sofferenza, userei il bisturi per soddisfare la semplice curiosità di aprire veramente un corpo e studiare la carne e le ossa nella loro elegia divina.
Paolo di Orazio: Simil Couch Faced Man
Così, a volte, come fossi un serial drawer, vivo stagioni brevi di produzione grafica fotografando le mie vittime immortali, vestendo il buio delle loro carni e scavando il fondo nero con pastelli a olio o secchi con il colore che mi serve per possederle di vita, di morte, dolore o totale smarrimento. I personaggi che preferisco della mia produzione sono i primitivi in bianco e nero. Sembrano cadaveri viventi in acrilico, spiriti senza tempo. Mi piace raffigurarli con pennellate a strati e strisce, definendo fibre muscolari disidratate, smarriti nella loro post-vita nel buio, dove gli unici riflessi di luce sprofondano nel recesso acquoso dei loro occhi, come se l'anima restasse depositata sotto ghiaccio nelle antiche cavità del corpo.
Paolo di Orazio: Spiral #2
Il grosso di questa produzione non è recente, ma in realtà è nuovo per il mondo: le occasioni di mettere in vetrina i miei lavori sono state scoraggiate dalla repulsione delle librerie o altri luoghi d'arte che non contemplano concept che non siano modaioli, pop o porno-pop.
Graziano Frediani, redattore del celebre «Almanacco della Paura di Dylan Dog», nonché mio amico, ha coniato un brand per questo mio lavorìo grafico privo di moda e cliché: “Visioni dalle caverne dell'anima”.
Io credo proprio che questo titolo calzi molto e dia una spiegazione alla mia ricerca seriale del dolore.
Non trovate?
Paolo Di Orazio (Roma, 1966) Scrittore, disegnatore, sceneggiatore, musicista. Pioniere della letteratura splatter italiana. Coordinatore di riviste mensili di horror a fumetti «Splatter» e «Mostri», scrive racconti e storie a fumetti per «Cattivik» e la rivista americana «Heavy Metal». Pubblica romanzi, testi e racconti per Granata Press, Radio Rai, Addictions, Urania, Beccogiallo, Nicola Pesce Editore, Clair de Lune, Ded'A, Delos, Coniglio Editore, Bietti. Tra le sue opere di narrativa: “Primi delitti” (Acme, 1989/Castelvecchi 1997), “Madre Mostro” (Acme, 1991), “Prigioniero del buio” (Granata Press 1992/Res edizioni 2003) “Appuntamento a Carfax” (radio racconti - Rai 1992), “Il dipinto ucciso” (romanzo - Granata Press 1993), "Fantasmi con la testa" (racconto per In fondo al Nero a cura di Gianfranco Nerozzi Urania Mondadori 2003) “Che hanno da strillare i maiali?” (DEd'A 2009), “Vloody Mary” (Coniglio Editore 2011), “Chiruphènia” (Universitalia 2012). Il suo prossimo libro, una raccolta di racconti in ebook, sarà pubblicato nel 2013 da Mezzotints Ebook. Sito Web
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