Paolo Piras: “No al progetto Eleonora!”

Creato il 08 ottobre 2013 da Tipitosti @cinziaficco1

“Il Comitato No al Progetto Eleonora in Sardegna non si arrende!”.

Ad annunciarlo è Paolo Piras, nato ad Oristano nel 1984, ma residente a Bologna, esperto di comunicazione che, qualche anno fa, ha scoperto con alcuni amici il progetto della Saras su Arborea, città in cui è vissuto per tanti anni. Prima di raccontare com’è andata, chiarisce: “Non so se siamo tosti. Di sicuro siamo decisi e – mi spiace apparire un po’ arrogante – siamo nel giusto. Lo abbiamo dimostrato molte volte. Per questo alla fine vinceremo noi”.  

Secondo il Comitato la Saras dovrà rinunciare alle trivellazioni per estrarre gas metano”. http://noprogettoeleonora.wordpress.com/

Paolo ci racconti come è nato il comitato? Sei stato tu il primo a scoprire due anni fa il progetto? 

Onestamente non so se sono stato il “primo” o meno, non è importante. Nel periodo in cui sono cominciate a filtrare le prime notizie io, Davide, Federico, Manuela, Matteo e altri ragazzi eravamo già a conoscenza di questo progetto (che interessa circa 4 mila metri quadrati) perché avevamo trovato per puro caso un progetto preliminare sul sito della Regione. Quando la notizia è diventata di dominio pubblico ci siamo sentiti tra di noi e abbiamo deciso di unire le forze per organizzare un comitato. All’inizio è stata una semplice mailing list che comprendeva non più di una decina di indirizzi, poi man mano si sono avvicinate sempre più persone che hanno contribuito a far trasformare questa battaglia da problema di una cittadina di 4000 abitanti a una lotta simbolica per tutta la Sardegna.

Quali sono state le difficoltà agli inizi? 

Le difficoltà sono quelle che può incontrare qualsiasi comitato di cittadini quando è all’inizio del lavoro: conoscenza non troppo approfondita delle tematiche tecniche, poca disponibilità di tempo e soldi, diffidenza di gran parte dell’opinione pubblica che tende ad etichettarti come “quelli del No a tutto” e così via. Nel corso dei mesi, però, siamo stati bravi – e fa niente se c’è un pizzico di vanità – nel dimostrarci preparati e competenti, spesso e volentieri anche più dei dirigenti Saras.

Perché vi opponete a questo progetto? Un no, il vostro, per niente ideologico? 

Ci opponiamo per un motivo semplice: perché questo progetto non è compatibile con la realtà di Arborea, un comune che da quasi un secolo vive di agricoltura e allevamento di alta qualità, che è conosciuto in tutta la Sardegna – e non solo – per la bontà dei suoi prodotti e la bellezza del suo paesaggio. Ma non è solo un problema economico o ambientale, è anche e soprattutto un problema sanitario: installare un pozzo estrattivo a 400 metri di distanza dalle abitazioni in cui vivono famiglie con bambini piccoli è semplicemente inconcepibile. Non c’è niente di ideologico nel voler difendere l’integrità del proprio territorio, la salute dei cittadini e la stabilità di un sistema economico che produce ricchezza e crea lavoro da ottantacinque anni.

Siete solo voi del Comitato ad essere contrari?

Non è soltanto il Comitato ad essere contrario, e nemmeno la popolazione di Arborea. Ad essere contrari a questo progetto sono decine di migliaia di sardi e decine di amministrazioni. Con noi si sono schierati – appoggiandoci tramite delibere di contrarietà – il Consiglio Provinciale di Oristano, tre unioni dei Comuni, dodici Consigli comunali, l’intero sistema delle cooperative della Provincia, associazioni di categoria e tante altre realtà consapevoli che la ricchezza di questo territorio si trova sopra la terra, non sottoterra.

Il gas metano che la Saras pensa di estrarre non potrebbe creare ricchezza, nuovi posti di lavoro e garantire autonomia energetica?

Il gas metano in sé non crea ricchezza. È l’utilizzo che si fa di quel gas – o di qualsiasi altro tipo di energia – che può creare ricchezza o meno. E quando gli stessi dirigenti Saras ammettono che il gas metano eventualmente estratto ad Arborea verrebbe utilizzato per la centrale interna della raffineria di Sarroch è naturale che ci venga più di un dubbio. Non crediamo che quel gas verrà utilizzato per la comunità. Poi ci sarebbe da aprire un altro capitolo sulla quantità estratta.

Cioè?

Saras ha detto prima di poter assicurare energia per 20 anni alla provincia di Oristano, poi ha parlato di autonomia energetica per l’intera Sardegna. La realtà è che con quella quantità – e vista la presenza di diverse industrie che assorbono tanta energia in Sardegna – quel metano durerebbe sì e no qualche anno, e non permetterebbe alcuna indipendenza energetica. Anzi, costringerebbe i sardi a entrare nell’ennesimo regime di monopolio.

Dalla stampa si apprende che la Saras ha rassicurato i cittadini sardi. Non si userà la tecnica della fratturazione delle rocce per liberare il gas contenuto all’interno. Quindi «Niente rischio di terremoti né di subsidenza, ossia di sprofondamento dei terreni. Niente rischio di inquinamento delle falde, grazie a una serie di sistemi isolanti, né di risalita di solforati, che verrebbero rilevati dai sensori, provocando la chiusura del pozzo». Questo non vi convince?

I rischi che derivano dall’estrazione di metano dal sottosuolo non sono collegati esclusivamente al fracking. Loro escludono l’utilizzo della fratturazione idraulica: bene, ma il problema non è questo. Il rischio zero non esiste: questo dev’essere chiaro. Anche la piattaforma Deepwater Horizont nel Golfo del Messico era tra le più moderne, eppure il disastro è avvenuto lo stesso. Per quanto riguarda susbsidenza e contaminazione delle falde, sono rischi che non si possono escludere, a prescindere dalla tecnica utilizzata. La costiera adriatica dell’Emilia Romagna sta lentamente sprofondando da decenni anche a causa delle estrazioni di metano. Lo stesso è accaduto nel Polesine, dove la subsidenza è tra le principali imputate per l’alluvione del 1951.

Ora a che punto è la situazione? 

Ora siamo in attesa che Saras produca le controdeduzioni dalle nostre osservazioni che sono state depositate al Servizio SAVI della Regione Sardegna. Entro il 30 ottobre dovranno fornire la documentazione, poi si procederà alla convocazione della conferenza dei servizi ed eventualmente ci potrebbe essere un’ulteriore proroga. Insomma: non è ancora finita.

Avete incontrato qualcuno della Saras, quindi i Moratti?

Io personalmente ho incontrato l’amministratore delegato della Saras Dario Scaffardi con il team tecnico durante un confronto tra le parti, organizzato dal quotidiano L’Unione Sarda. Il giorno dopo, il 30 maggio, c’è stata l’istruttoria pubblica ad Arborea, dove l’intera popolazione ha potuto confrontarsi apertamente con Saras, rappresentata dall’Ingegnere. Citterio, dal geologo Giulio Casula e da altri tecnici che hanno redatto il progetto. È stato un momento storico: otto ore di assemblea, oltre cinquanta interventi, migliaia di persone presenti in sala e oltre seimila collegate in diretta streaming. Un’intera popolazione ha espresso in piena coscienza e autonomia il proprio No al Progetto Eleonora davanti ai rappresentanti dell’azienda dei Moratti, argomentando con forza le proprie posizioni. Per contro, i rappresentanti di Saras hanno fatto più volta scena muta.

Il progetto Eleonora e la prossima campagna elettorale.   

Il Progetto Eleonora in sé non credo possa essere strumentalizzato. Anzi, mi auguro che diventi un punto importante nella campagna elettorale perché è giusto che chi si candida ad amministrare la Sardegna dica chiaramente cosa ne pensa. Credo che si possano strumentalizzare il tema energetico e il tema del metano.

In che senso?

Come ho detto prima. Dire che “il metano porta ricchezza” o che “il metano è pulito e crea lavoro” è una sciocchezza, è una falsità. Il metano è una fonte energetica fossile, e se per estrarre il metano dal sottosuolo dobbiamo distruggere una delle realtà agricole più forti di tutta la Sardegna stiamo commettendo un errore madornale. Necessitiamo di un cambio di mentalità e prospettiva, dobbiamo capire che la produzione energetica non può più essere concentrata in grandi poli, che determinate fabbriche energivore sono obsolete e vanno riconvertite, che l’industria chimica ha prodotto enormi danni sul territorio e sulla salute dei sardi che non si possono paragonare con le buste paga distribuite sul territorio.

Quali potrebbero essere nell’immediato gli effetti delle trivellazioni?

La fase di trivellazione del pozzo esplorativo è la fase più critica dal punto di vista della sicurezza: è quella in cui sono più probabili fuoriuscite incontrollate, contaminazioni di falde o esplosioni del pozzo. Ciò che ci preoccupa è anche il danno d’immagine per la nostra realtà. Parlare di Arborea in Sardegna equivale a parlare di latte e agricoltura. Come si può inserire una trivella all’interno di questa realtà?

Se i Moratti non si fermeranno? 

Per il momento i lavori non sono iniziati e non credo inizieranno mai: quel progetto è da bocciare perché scadente, incompleto e incompatibile con la nostra realtà. Se per pure caso dovesse ricevere l’autorizzazione abbiamo già pronto un team legale che sta lavorando ad eventuali ricorsi.

Avete avuto minacce?

No, al massimo qualche battuta di cattivo gusto.

Vi sentite tosti? 

Non so se siamo tosti, di sicuro siamo decisi e – mi spiace apparire un po’ arrogante – siamo nel giusto: lo abbiamo dimostrato molte volte. Per questo alla fine vinceremo noi. 

Il resto dei sardi come ha preso la cosa?

C’è stata un’enorme solidarietà da ogni angolo della Sardegna, anche perché il Progetto Eleonora è solo il primo di una lunga serie di progetti che sono stati presentati per trivellare in tutta la Sardegna. Fermare il Progetto Eleonora vuol dire bloccare l’ingresso dell’attività estrattiva in Sardegna. La scorsa primavera ad Arborea si è tenuta la Marcia della Terra: migliaia di persone sono arrivate dai paesi più disparati con un sacchetto della propria terra per portare la solidarietà alla nostra comunità e identificare questa battaglia come la battaglia di tutti i sardi. Lo stesso è accaduto il 30 maggio durante il confronto pubblico tra le parti. Sono arrivate persone da Cagliari e Sassari, ci hanno seguito streaming centinaia di Sardi emigrati e non solo. Un’insegnante di una scuola di Trento mi ha raccontato di aver mostrato il video di quell’assemblea ai suoi alunni come esempio di difesa della  propria terra da parte dei cittadini. Sono delle belle soddisfazioni.

                                                                                                                           Cinzia Ficco


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