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PAOLO SORRENTINO La Grande Bellezza (Italia 2013, 142 min., col., drammatico) Da un film intitolato La Grande Bellezza, diretto da quello che è considerato uno dei migliori registi italiani, ci si aspetterebbe il massimo. Formuliamo la domanda perentoria: E' quindi l'ultimo di Sorrentino, inizialmente quotato e infine snobbato a Cannes, un film di grande bellezza? No, per noi non lo è. Sorvoliamo sulle citazioni, sulle banalità, sulle approssimazioni, sull'incoerenza, e sorvoliamo sui gridolini esaltati di chi strilla al genio a ogni suo rivoletto: La Grande Bellezza è un film così poco originale, così poco strutturato, così gonfio di cliché, che non solo mi ha sorpreso un suo possibile riconoscimento a Cannes (i critici si saranno accorti dell'abbaglio?), ma anche solo la sua stessa partecipazione, in concorso, in mezzo ad altri film di livello facilmente superiore. La Grande Bellezza è un film smontabile dall'inizio alla fine, una vera, scusate, presa per i fondelli, di un regista dotato di capacità straordinarie e che non ha niente da dire. Sorrentino sa muovere la macchina da presa, ci ubriaca di funambulismi scenici e non esprime niente. Filma Jep, 65enne scrittore-giornalista, un viveur della Roma più cafona, che però è anche molto sensibile e riflessivo; lo seguiamo mentre passeggia sul lungo Tevere, incontriamo i suoi amici snob, intervista gli artisti più freak del momento, beve un bicchiere, fuma una sigaretta, cerca una consolazione spirituale alla sua misera (mah!) esistenza. Il film parte in quarta con uno spezzone onirico che ricorda Reality di Garrone (con il quale non ha nulla sfortunatamente in comune) in una Roma immersa nella calura estiva, turisti fanno foto davanti a una fontana mentre un gruppo di donne canta (secondo: mah!). Poi, la vita quotidiana di Jep, una vita sospesa tra caciara e filosofia (terzo: mah!). Feste con personaggi usciti dalle fiction televisive del nostro paesino in cerca di un improbabile riscatto (nel girone dantesco si salva, ma giusto un poco, Verdone). Jep vorrebbe scrivere un romanzo, ha smesso dopo un successo di molti anni prima. Vorrebbe parlare del vuoto. In mezzo a freakettoni, spogliareliste, scrittori, narcotrafficanti, collezionisti d'arte, una moltitudine di donne attraenti ai suoi piedi, eh si, vorrebbe proprio parlare di vuoto. Che Sorrentino voglia parlare del vuoto attraverso lo stile più artificiale e pomposo che si sia mai visto nel nostro cinema solo per fare una metafora del vivere moderno? Spero non fosse quello l'intento, avrei volentieri risparmiato i soldi del biglietto. Seguono sequenze messe li perché squisitamente carine da vedere. Esempio: una performance artist che si "esprime" correndo a sbattere contro i muri; una bambina, altra performance artist, che dipinge tele colta da raptus isterici; un giro in notturna tra i saloni dell'aristocrazia romana con un uomo che porta con se le chiavi di tutti i migliori palazzi della capitale (chi? cosa? perché? Si, proprio così) con principesse che giocano a carte; una giraffa (pessima computer grafica); Antonello Venditti; fenicotteri rosa (pessima computer grafica). E fin qui tutto bene insomma, se non fosse che Sorrentino alla fine ci spara dentro anche la Redenzione Spirituale: Madre Teresa Di Calcutta versione 2.0, portatrice di un Messaggio Di Verità E Bellezza. Qual è questo messaggio? E' mia opinione che non lo sappia neanche il suo autore.
Non ci sono personaggi nel film, solo figure, e nemmeno nuove, ma già viste e riviste meglio e altrove. C'è la borghesia snob e intellettuale che cerca di giustificare sé stessa alle feste in cui gli altoparlanti sparano a tutto volume "A Far L'Amore Comincia Tu" di Raffaella Carrà; C'è l'immancabile nobiltà decaduta; C'è la spiritualità materialista del sacerdote che parla solo di cibo. E Jep che alla fine spara sentenze, ubriaco durante una festa (sempre a casa sua e sempre in suo onore, semplicemente perché è il "Re Dei Mondani") su come tutto quello che lo circonda muore o non ha importanza. Se certe figure sono comunque divertenti, seppur riciclate, altre figure - e battute - non lo sono, tanto sono ruffiane. Mi riferisco a due scene: quella in cui Jep passeggia davanti alla Costa Concordia rovesciata Simbolo dell'Italia arenata (troppo facile). E quella in cui il vicino di casa di Jep, mafioso, viene arrestato, mentre dice "Siamo noi a governare il paese": scontatissima, evitabile battuta ad effetto che avrà scandalizzato solo i polli. Il film poi sgorga, a portate torrenziali, pubblicità di noti prodotti italiani. Intendo molti e ripetutamente. Sarà per questo che ha goduto di una pubblicità enorme, oltre che di una distribuzione - considerandone la natura di film "da festival" - pazzesca?
Compiaciuto di sé, l'autore non smette mai di farci sapere quanto è bravo e continua ancora e ancora a fare il virtuoso della macchina da presa, e infiora il discorso con siparietti tanto decorativi quanto privi di rigore, di sostanza. Il parallelo con il massimo capolavoro italiano che non nominerò in questa recensione per mantenerne chiare le distanze è un azzardo che evito di fare. Toni Servillo è sempre Toni Servillo. Sorrentino, è il Sorrentino peggiore. Stefano Uboldi
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