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Paolo Uccello, sperimentatore di prospettive

Creato il 20 febbraio 2013 da Artesplorando @artesplorando
Paolo Uccello ci appare come uno dei più affascinanti pittori del Quattrocento italiano, sopratutto per le sue continue sperimentazioni in campo prospettico, anche se sarebbe sbagliato ridurlo a mero compilatore di diagrammi geometrici. Sicuramente è uno degli artisti che mi sono più cari, fin dai tempi del liceo.

Paolo Uccello, sperimentatore di prospettive

Paolo Uccello, San Giorgio libera la principessa dal drago

Paolo di Dono (poi chiamatosi Uccello) nasce nel 1397 da Dono di Paolo, barbiere e chirurgo, e da Antonia di Giovanni del Beccuto. Malgrado Pratovecchio in Casentino si fregi d’avergli dato i natali, la sua città di nascita è probabilmente Firenze, dove Dono aveva preso residenza nel 1373. Della formazione artistica di Paolo non si è certi. Il Vasari lo dice discepolo di Antonio Veneziano, ma la notizia mostra discrepanze cronologiche. E’ più probabile ch’egli fosse a bottega da Gherardo Starnina. Si sa che nel 1407 egli fosse garzone per il Ghiberti, per la rifinitura della prima porta del Battistero fiorentino. Molti pensano che da qui derivi il suo soprannome Paolo degli Uccelli o dell’Uccello, come egli stesso si firma, poiché il giovane pittore attende specialmente ai volatili rappresentati nel fregio.
Tra le prime opere di Paolo Uccello va messo in rilievo il lavoro svolto sui mosaici nella chiesa di San Marco a Venezia, tra il 1425 ed il 1430. E’ un fatto importante, poiché spiega la provenienza di una sua certa tendenza all’astrazione delle forme ed al passaggio brusco da un colore ad un altro, caratteristiche tipiche e necessarie del mosaico. Quando Paolo rientra a Firenze, nel 1432, sembra essere un pittore di nulla fama, poiché gli Operai del Duomo cercano a Venezia informazioni sul suo conto prima di affidargli un lavoro.

Paolo Uccello, sperimentatore di prospettive

Paolo Uccello, monumento equestre a Giovanni Acuto

Nel 1436, egli realizza il monumento pittorico equestre di “Giovanni Acuto”, condottiero inglese. Gli viene fatta specifica richiesta di affrescarlo “in terra verde” perché somigli ad un monumento bronzeo, ma l’effetto finale è piuttosto irreale. La composizione si basa su due prospettive, una dal basso attraverso cui si vede il basamento, una all’altezza dello spettatore che inquadra il cavaliere. In molti hanno visto un errore nell’uso della prospettiva, ipotesi impossibile data la precisione geometrica per la quale era famoso il pittore e la puntualità di realizzazione delle due singole parti. C’è, piuttosto, un voluto scopo d’astrazione e d’irrealtà, comune a molte altre opere. Di poco posteriori sono le “Storie di Santi monaci”, in San Miniato al Monte a Firenze. Di questi affreschi è rimasto ben poco, ma vi si ravvisa una certa predilezione per gli spazi astratti e geometrici. Di gusto simile è il celebre “San Giorgio e il drago”: favoloso ed infantile nella visione, è un soggetto affrescato due volte. La seconda versione - oggi alla National Gallery di Londra - è meno favolosa ed è caratterizzata da forme quasi “bloccate” sparse nel dipinto.

Paolo Uccello, sperimentatore di prospettive

Paolo Uccello, Battaglia di San Romano

Intorno al 1450, Paolo attende alla decorazione del Chiostro verde di Santa Maria Novella a Firenze. Vi affresca storie tratte dalla Bibbia (il peccato originale, la creazione dell’uomo, della donna e degli animali, il diluvio universale). Pure in queste immagini, l’uso della prospettiva è doppio e ha un effetto straniante. Si prenda come esempio il “Diluvio universale”, nel quale l’autore affresca contemporaneamente due momenti della vicenda: l’arca rovesciata dai flutti, con gli uomini attaccati che tentano di salvarsi, gli alberi sradicati e bastoni e botti sparsi nelle onde, e Noè sull’arca al momento di ricevere la colomba con il ramoscello. L’effetto della composizione è un’immagine allucinante, nella quale s’inseriscono figure umane realistiche e grandiose.
Nel 1456 Paolo Uccello realizza la sua opera più famosa: “La Battaglia di san Romano”, scontro avvenuto nel 1432, con la vittoria dei fiorentini condotti da Niccolò da Tolentino. L’opera è ripetuta in tre tavole ed è tra le ragioni per cui la critica moderna ha visto in Paolo un precursore della metafisica. Nonostante il fatto d’armi fosse avvenuto pochi anni prima, dunque dovesse essere forte nella sua memoria, il pittore lo rappresenta in modo del tutto irreale. I cavalieri fissi nelle loro armature, come manichini metafisici, le lance rivolte immobili verso l’alto, nessun accenno al sangue ed alla morte truculenta. La geometria è molto rigida e tutto è disposto secondo un reticolato geometrico ben definito. I colori sono irreali, i particolari guerreschi fantasiosi, la giustapposizione cromatica va per contrasto. Tutto, dunque, contribuisce ad un’astrazione mentale. Lo stesso avviene nella tavola dal titolo “La caccia” - oggi ad Oxford - e nel “Miracolo dell’Ostia profanata”, dipinta ad Urbino sulla predella di una pala d’altare.

Paolo Uccello, sperimentatore di prospettive

Paolo Uccello, Caccia notturna

Nel 1465, la Confraternita del Corpus Domini gli affida la decorazione della predella della sua chiesa d’Urbino, con i “Miracoli dell’Ostia”. Si ferma in città fino al 1469, lavorando anche con suo figlio, all’epoca molto giovane. Nel 1469 ancora il catasto dà testimonianza della sua vita, di cui Paolo parla con parole di disagio: “truovomi vecchio (…) e con la dona inferma”. L’11 novembre del 1475 fa testamento e muore un mese dopo.Resta di lui memorabile il ritratto lasciatoci da Giorgio Vasari in chiusura della Vita a lui intitolata, dove scrive che la moglie dell'artista "soleva dire che tutta la notte Paolo stava nello scrittoio per trovar i termini della prospettiva e che quando ella lo chiamava a dormire egli le diceva: Oh che dolce cosa è questa prospettiva!".

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