Paolo Zardi - IL GIORNO CHE DIVENTAMMO UMANI

Creato il 17 ottobre 2013 da Zioscriba

Paolo ZardiIl giorno che diventammo umaniNEO.Pagine 203 € 14Voto:
Attendevo il nuovo libro di racconti di Paolo Zardi con la stessa impazienza con cui un bambino, la mattina di Natale, aspetta di scoprire i doni sotto l’albero. Me lo sono divorato avidamente, e non ne sono rimasto deluso. Anzi, è riuscito a stupirmi in positivo, cosa che non ritenevo più possibile. Inutile malignare: io non dico che Paolo scrive bene perché è mio amico fraterno (come farebbe l’intellettualozzo italiota medio). Semmai è vero il contrario: Paolo è diventato mio amico fraterno proprio perché scrive divinamente bene (mi ci vedete amico fraterno di Moccia? O della tizia delle 50 flatulenze vaginali – e relative imitatrici?) Pochissimi sono oggi gli scrittori italiani (e gli artisti in generale) all’altezza dei loro corrispettivi internazionali, dai quali, come squal-lida e deprimente conseguenza dell’essere un paese meritofobico, raccomandereccio, imbecille e mafioso, ci separa una voragine sempre più spaventosa a livello di talento, intuizione, brillantezza, originalità, professionalità, passione, dedizione, ispirazione, voca-zione vera. Paolo Zardi è uno di quei pochissimi. Lo capiresti già leggendo un pezzo a caso sul suo blog, grafemi, al confronto del cui delizioso, prelibato livello intellettuale tante redazioni culturali di grandi giornali dovrebbero esporre il cartello: “chiuso per vergo-gna”. (Della tv e di chi la considera buona consigliera, perdonate il mio snobismo, non mi abbasserò a parlare).
Vi dico subito che non sarà (per fortuna) una lettura spensierata o futile. Siamo di fronte a un libro cupo e duro, pur se qua e là venato di quella leggerezza cui solo i grandi sanno attingere, nel quale Paolo Zardi affronta il dramma della condizione umana senza fare sconti, e senza voler elargire, né a sé stesso né al lettore, comode quanto illusorie speranze. Uno dei punti di forza, che spinge a desiderare che il libro non finisca mai, è dato dalla varietà: di personaggi, di argomenti, di situazioni. Ogni racconto è un mondo, o più mondi, e anche i finali, pur se in genere amari, sono poco apparentabili fra loro: a volte atroci, a volte ironici, a volte tragici, a volte lirici e struggenti (immagini di cani sotto il sole che “aspettano di diventare sabbia”), e quasi tutti aperti. Paolo sa che per fare lo speleologo nelle viscere dell’animo umano (cioè per fare lo Scrittore, che nel 2013 non può essere soltanto un canta-storie tramute o un menestrello del cazzo) bisogna essere pronti a trovare, e sperimentare dentro sé stessi, di tutto: pericoli, orrori, infezioni, ignominie, e in special modo puzze: l’afrore chimico del desiderio, il tanfo putrido del conformismo, il fetore della schiavitù, le acri esalazioni della malattia, i miasmi di galera delle vite standard (penso alla diabolica, spietata, esilarante ESATTEZZA di Addio al celibato). Eppure l’Autore non si tappa il naso, né fa nulla per confondere i nostri con artificiosi olezzi di lavanda. Ma al tempo stesso riesce a venire a capo dell’incubo per raccontarne con levità e commosso stupore, senza mai calare la mannaia di un giudizio definitivo o preconfezionato (o peggio ancora adulterato da quegli sciocchi schemini ideologici di seconda mano che nello Stivale vanno sempre per la maggiore). Non biasima le debolezze dei suoi personaggi, ma nemmeno ne fa quell’apologia facilona, adesiva e banale che fanno tanti altri: semplicemente dà loro VOCE. Magari lascia trasparire il suo sgomento, ma non li condanna per quella che è la loro, cioè la sua, cioè la nostra, infinita fragilità, e anzi cerca, per quanto possibile, di amarli. Sì, di amarli. Tutti, o quasi. Perché sa che ognuna di quelle follie, ognuno di quei baratri, in qualche modo, lo riguarda e ci riguarda, in quanto parte dell’es-sere, ci piaccia o no, umani. Ho fin qui parlato di odori sgradevoli che promanano dall’umano. Ma sarei impreciso se non dicessi che in questi racconti ci sono anche gli inebrianti profumi della tenerezza e dell’amore, soprattutto verso i figli: non c’è riga in cui non si percepisca che chi scrive è un Padre, e che i suoi sono bambini fortunati.
Non mi dilungherò sui singoli racconti per non levarvi il piacere della scoperta. Dico solo che ho trovato geniale il terzo, Fiat Duna, che scandaglia in profondità, con coraggio e acume disarmanti, il senso di colpa di un uomo che si rende conto di provare vergogna per la bruttezza della moglie e della figlia, e di vergognarsi (non abba-stanza?) con sé stesso per tale vergogna. Vicino alla mia idea di perfezione è poi La stella marina, in cui un professore di zoologia con un tumore al cervello scoperto per caso arriva a formulare questi pensieri sulla vita: “Le piante erano una curiosa escrescenza carbonica della crosta terrestre, i celenterati sacchetti di succhi gastrici con una bocca e un buco del culo; i pesci sembravano automi semoventi incapaci di intendere e volere, e le formiche cellule ottuse di un organismo molto più grande, e altrettanto ottuso. Una vita a forma di leone mangiava una vita a forma di antilope: cosa moriva, sotto la ferocia di quegli attacchi? Aveva incentrato la tesi di laurea sulle tenie, lunghe strisce di cellule che crescevano nell’animale che le ospitava: guardandole, chi avrebbe potuto pensare che la vita fosse un miracolo, o almeno qualcosa di importante?” Maestro inarrivabile anche nell’uso del linguaggio scientifico per dare l’idea della paurosa assurdità delle dinamiche, naturali o sociali, cui soggiaciamo (a volte sembra di sorseggiare un Leopardi corretto Houellebecq), coi suoi lucidissimi e terrificanti racconti Zardi ci dimostra, forse senza volerlo e di sicuro senza presunzioni, che la Scrittura, quando giunge alle sue vette più eccelse, è Miracolo altrettanto bello, inspiegabile e importante della vita stessa, se non di più. 

Paolo Zardi


Lui non lo dirà mai, perché è un uomo generoso verso tutti, pieno di bontà e di umiltà, ma se Paolo Zardi vivesse in America, scriverebbe (se ne avesse voglia) sulle pagine letterarie del New York Times, i suoi libri sarebbero in classifica, e avrebbe vinto già qualche premio. In italiA, paese delle conventicole di petomani accademici, non lo conosce quasi nessuno, e questo è un peccato mortale.Grazie anche a un giornalismo di livello men che modesto, sfacciatamente al servizio dei più squallidi imperativi commerciali (o politici), e che ormai non fa nemmeno più finta di compiere il suo mero dovere – quattro righe per informare del fatto che certi libri belli onesti e meravigliosi ESISTONO – il suo precedente capolavoro, Antropometria, splendida raccolta di racconti con cui ha esordito nel 2010, sempre con la Neo edizioni, è passato inosservato (e stiamo parlando di uno degli esordi più promettenti del panorama europeo e mondiale: come se Cechov e Carver si fossero reincarnati in una persona sola), al pari del successivo romanzo La felicità esiste (Alet, 2011). E tutto ciò fa rabbia, perché basterebbe un minimo, ripeto, di informazione (magari negli spazi di cui lorsignori abusano per ren-derci partecipi, a mo’ di marameo, dei premiozzi rastrellati quoti-dianamente dai loro vicini di scrivania Fufy, Boby e Bubu: l’uncinetto letterario d’oro, il tartufo poetico d’argento, l’escre-mento narrativo di bronzo) per raggiungere, e rendere felici, tantissimi potenziali lettori ed estimatori: non certo i milioni che comprano le patacche cazzofigacee vendute a rotoli nei supermarket, ma alcune migliaia sicuramente sì, migliaia di ottimi lettori italiani defraudati della possibilità di sapere che certi romanzi e certi racconti, ogni tanto, anche in italiA, grazie a editori come la Neo, si stampano!E allora l’informazione, porca puttana, proviamo a farla NOI. È noto che, purtroppo, quando si parla di successi basati sul passaparola, quasi sempre si tratta di passaparola artificiosi, alimentati ad arte dal mercato del pesce mediatico-editoriale, sempre più infallibile, bullesco e devastante, mentre quelli spontanei, tristemente, si arenano. Ma se un giorno dovessimo riuscire, per magia, a decretare il successo di un buon onesto libro davvero soltanto col nostro parlarne e poi riparlarne e poi ancora parlarne, quello sarebbe un giorno di vittoria e di esultanza, perché da quel giorno potremmo finalmente porre le basi per provare a mandarli a casa tutti: gli usurpatori, i mercanti nel tempio, i costruttori di templi abusivi e i loro muscolosi (ma al tempo stesso mummificati) buttadentro dall’alito mefitico. Proviamo a cominciare con questo? In un'epoca in cui dire "scrittore italiano" suona strano quanto dire "sciatore ugandese", incontrarne uno sul proprio cammino è sem-pre, credetemi, una gioia immensa, che confina con la commozio-ne. Anzi, ci sconfina dentro, vi irrompe, alla grande, provocando lacrime di gioia e d’incredulità. Quindi, quando capita, non siate egoisti o pigri: fatelo sapere anche agli ALTRI.
Insomma: se v’interessa l’Eccellenza, sapete cosa fare. Se invece v’interessa scoprire, dopo 500 pagine di piattume (o di pattume), chi ha trafugato la supposta radioattiva da cacciare in culo al maggiordomo (che ovviamente è una spia russa eptagiochista) sapete dove andare (o dove vi mando io).E sopra ogni altra cosa, nei secoli dei secoli, tenete presente il monito da cui potrebbe dipendere la vostra salvezza: non fatemi incazzare.
Parola di Scriba.

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