Papa Francesco a Sarajevo. Nel segno della pace e della riconciliazione
Creato il 08 giugno 2015 da Gaetano63
Cronaca del pomeriggio del Pontefice nella capitale della Bosnia ed Erzegovinadal nostro inviatoGaetano ValliniIl corteo papale, partito dalla nunziatura, è diretto alla cattedrale di Sarajevo. Lungo il tragitto transita davanti a uno dei luoghi simbolo della recente guerra, il mercato dove il 5 febbraio 1994 si consumò la più terribile delle stragi compiute nei quattro anni di assedio della città, quando alcune bombe uccisero 68 persone ferendone altre duecento. L’arcivescovo, cardinale Vinko Puljić, lo indica al Papa. Tutto qui è stato ricostruito, ma qualche segno è rimasto, come in diversi punti della città: sui muri di molti palazzi si vedono infatti i segni lasciati da granate e proiettili. Testimoniano la sofferenza patita da questa città durante il conflitto che nella prima metà degli anni Novanta insanguinò la Bosnia ed Erzegovina, le cui ferite, legate a divisioni etniche, non sono ancora del tutto rimarginate. Ciononostante il Paese, con fatica, tenacemente, sta ricostruendo il proprio futuro di pace.Per questo sabato scorso Papa Francesco è venuto qui. E per puntare i riflettori del mondo su questo lembo di Europa. Lo ha ribadito ai giornalisti in serata sull’aereo che lo riportava a Roma da Sarajevo: «È un segno. Io vorrei incominciare a fare le visite in Europa, partendo dai Paesi più piccoli, e i Balcani sono Paesi martoriati, hanno sofferto tanto. E per questo la mia preferenza è qua». Il Pontefice, dunque, ancora una volta ha scelto di entrare nel vecchio continente da una porta laterale, la Bosnia ed Erzegovina, poco frequentata dai potenti, ma che da questi si attende un sostegno.A Sarajevo il Papa è venuto a parlare di pace e a incoraggiare il processo di riconciliazione. Lo ha detto in tutti gli incontri, con modi e linguaggi diversi. E se la mattinata era stata intensa, con la cerimonia di benvenuto al palazzo della presidenza e la messa allo stadio Koševo, il pomeriggio non è stato meno ricco di avvenimenti significativi. A cominciare da quello nella cattedrale del Sacro Cuore. All’arrivo sul sagrato, accolto da numerosi fedeli, il Papa si è soffermato a osservare la grande statua di Giovanni Paolo ii, posta a ricordo del suo incontro il clero nel 1997. Un appuntamento che si è ripetuto con Francesco, che qui ha incontrato i sacerdoti, le religiose, i religiosi e i seminaristi. Accolto dal rettore, monsignor Ante Meštrović, e da un lungo applauso dei presenti, giunti da tutto il Paese, ha sostato brevemente per una preghiera silenziosa davanti alla tomba di monsignor Giuseppe Stadler, primo arcivescovo della città, alla cui tenacia si deve la costruzione della cattedrale. L’incontro è quindi cominciato con il saluto del cardinale Puljić, al termine del quale si è svolto lo scambio dei doni: un calice quello del Papa, un quadro che riproduce la Madonna di Komušina-Kondžilo, il santuario dell’arcidiocesi di Sarajevo, quello del porporato.È stato letto in croato il brano della prima lettera di San Pietro apostolo che inizia con queste parole: «Carissimi, se, facendo il bene, sopporterete con pazienza la sofferenza, ciò sarà gradito davanti a Dio. A questo infatti siete stati chiamati». Una lettura che ha richiamato le sofferenze patite dalla Chiesa di questa terra, testimoniate da un sacerdote, un religioso e una suora che durante la guerra di venti anni fa subirono la persecuzione.Lasciata la cattedrale, e raccogliendo i saluti delle persone radunatesi soprattutto agli incroci delle strade e negli spiazzi, Francesco ha percorso, sempre in papamobile, il tragitto che separa la cattedrale dal Centro internazionale studentesco francescano per l’incontro ecumenico e interreligioso. Un momento particolarmente atteso nella città chiamata Gerusalemme d’Europa, per anni simbolo di convivenza pacifica tra diverse fedi, ma che oggi, come l’intero Paese, dopo la guerra si trova ad affrontare difficoltà ancora legate alle differenze religiose ed etniche. E la scelta del luogo è significativa. Si tratta infatti del palazzo sede della Provincia francescana di Bosnia Argentina, che il governo comunista confiscò ai frati dopo la seconda guerra mondiale e che durante il recente conflitto venne completamente bruciato.Ad accogliere il Papa sulla strada antistante un migliaio di fedeli, mentre all’ingresso a dargli il benvenuto è stato il provinciale dei francescani, padre Lovro Gavrane. All’interno, per l’incontro, circa trecento persone, che hanno ascoltato i saluti del cardinale Puljić, in qualità di presidente del Consiglio episcopale per l’ecumenismo e il dialogo tra le religioni e le culture, del gran mufti Husein Kavazivić, del vescovo Chiesa ortodossa serba Vladika Grigorije e del presidente della comunità ebraica Jakob Finci. Tutti nei loro interventi, sia pure con accenti e sensibilità diverse, hanno ringraziato il Papa per la visita, per la sua sollecitudine in favore della pace e il suo sostegno alle iniziative di riconciliazione, nel rispetto delle differenze. E hanno confermato il loro impegno per la costruzione di una società realmente pacificata e più giusta. Un impegno apprezzato da Francesco, che si è detto grato per questo contributo e ha concluso il suo discorso con una preghiera «all’eterno, all’unico e vero Dio vivente, il misericordioso».Dopo aver salutato alcuni esponenti delle varie fedi, Papa Francesco è risalito sulla papamobile per recarsi al Centro diocesano giovanile dove all’arrivo è stato salutato da alcuni bambini e dal rettore del Centro, don Šimo Maršić, che — dopo lo svelamento della targa che dedica ufficialmente a san Giovanni Paolo ii la struttura, ancora in via di completamento e aperta ai ragazzi di diverse etnie e religioni — lo ha poi accompagnato nella palestra. Qui il Pontefice è stato accolto dall’entusiasmo dirompente di ottocento giovani provenienti dalle tutte le diocesi del Paese. Come sempre in queste occasioni, il clima è stato di grande festa. A dare il benvenuto al Papa, il vescovo Marko Semren, ausiliare di Banja Luka, incaricato per la pastorale dei giovani, il quale ha ricordato l’intenso cammino di preparazione a questo incontro compiuto dai giovani, che ha definito «la primavera della Chiesa, la primavera della nostra patria, il nostro futuro». Subito dopo, intervallate da canti e danze, le testimonianze di alcuni giovani, che hanno raccontato le loro esperienze, la loro voglia di futuro di pace, le loro speranze, il loro impegno per una società in cui non vi siano differenze.Anche qui, come in cattedrale, Francesco ha consegnato il discorso preparato e ha risposto a quattro domande. Ma soprattutto ha sottolineato una cosa: «Voi — ha detto — avete una singolarità: voi siete la prima, credo, generazione dopo la guerra. Voi siete fiori di una primavera, come ha detto monsignor Semren: fiori di una primavera che vogliono andare avanti e non tornare alla distruzione, alle cose che ci fanno nemici gli uni gli altri». A conclusione, lo scambio di doni: un quadro in bassorilievo raffigurante il centro e un bussolotto di vetro contenente pensieri e intenzioni, quelli dei giovani; una statua in bronzo raffigurante Giovanni Paolo ii, quello del Papa. Quindi l’ultima consegna, che riprende il motto della visita: «“Mir Vama!”: è questo il compito che vi lascio. Fare la pace, tutti insieme». Salutati alcuni ragazzi malati e lasciata la palestra, il Pontefice si è poi affacciato dal terrazzo dell’edificio per benedire i 3.500 che non avevano trovato posto all’interno e che hanno seguito l’incontro da un maxischermo dal piazzale antistante. Qui, così come fatto al mattino davanti al palazzo presidenziale, ha liberato in volo due colombe bianche.L’ultimo atto della visita si è compiuto all’aeroporto, con la cerimonia di congedo che, come all’arrivo, ha visto la colorata e festosa partecipazione di decine di bambini e ragazzi nei costumi tradizionali. A salutare Papa Francesco sono stati il membro della presidenza Dragan Čović accompagnato da altre autorità, il cardinale Puljić, il nunzio apostolico Pezzuto e una piccola folla di fedeli e dipendenti dello scalo. L’aereo papale è decollato alle 20.40, con quaranta minuti di ritardo sull’orario previsto, al termine di dodici ore intense. Nel segno della pace e della riconciliazione.(©L'Osservatore Romano – 8-9 giugno 2015)
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