William Blair Bruce, Poppies
Avevo inseguito la primavera ad ovest, lasciando qui pioggia e incertezze e ondate di freddo e di caldo che minavano la sanità mentale più che quella fisica.
E, tornando, mi accoglie la straordinaria, inattesa visone dei prati che già stanno diventando gialli, cosparsi delle gocce di sangue di un massacro estivo: la costellazione sparsa e provvisoria dei papaveri, cinque petali morbidi e sfatti, che domani cominceranno già a cadere, corona instabile del nero cuore di semi allucinogeni.
E' estate: chissà come, chissà da dove, chissà quando, è arrivata.
Niente come questo rosso a macchie, il verde che impallidisce in giallo, fanno correre avanti, inesorabilmente e felicemente, le lancette del mio orologio biologico.
Ho avuto mesi e giorni e settimane, piogge e sole, caldo e vento, giornate e notti, ma tutto era come sospeso, svincolato dal tempo quotidiano e dal tempo contato e regolato che sembra esista solo quando lo si vive nei luoghi del nostro quotidiano.
Sono passati i mesi e io mi stupisco di trovare questo cambiamento vivo e palpitante, innegabile per via delle stagioni.
E' come se mi fossi aspettata che tutto restasse immobile, congelato, ibernato, solo in attesa di me, del mio ritorno.
Invece tutto è andato avanti e mi sembra di dover rincorrere un ieri per ritrovare il mio oggi.