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Pär Lagerkvist: «Chi sei tu che colmi il mio cuore?»

Creato il 04 settembre 2013 da Paolotritto @paolo_tritto
Pär Lagerkvist: «Chi sei tu che colmi il mio cuore?»

Lo scrittore svedese Pär Lagerkvist è noto al grande pubblico per il romanzo Barabba col quale vinse nel 1951 il Premio Nobel per la letteratura. Alla stessa opera si ispirarono poi due omonimi film, uno di produzione svedese, del ’53, e l’altro prodotto da Dino De Laurentiis in Italia nel ’62 per la regia di Richard Fleischer. A quest’ultima pellicola, un colossal interpretato da Anthony Quinn, Vittorio Gassman, Silvana Mangano, Arnoldo Foà, mise mano uno sceneggiatore del calibro di Christopher Fry (Ben-Hur e la Bibbia), il modesto ma allora veneratissimo Diego Fabbri e addirittura Salvatore Quasimodo – anche lui appena premiato col Premio Nobel.

Lo sforzo della produzione fu davvero notevole, uno sforzo che fu ben ripagato. Nonostante ciò, questo film può essere considerato il classico caso della montagna che partorisce il topolino. Durante la prima del Barabba, Lagerkvist si mostrò visibilmente disattento e la moglie addirittura preferì schiacciare un pisolino sulla comoda poltrona del cinematografo. Di certo, l’autore doveva riscontrare un abisso tra il testo letterario e il film. Ma bisogna dire che questa è cosa abbastanza frequente: difficilmente si troverà un grande scrittore che si dichiari soddisfatto della trasposizione di una sua opera nel cinema; magari non lo manifesterà apertamente, avendo incassato un bel po’ di quattrini in diritti, ma nel segreto non celerà la sua disapprovazione.

Meno nota di questo romanzo, ma non per questo meno straordinaria, è la poesia di Pär Lagerkvist. Nei suoi versi, l’autore svedese, esprime la sua percezione della realtà in tutta la sua durezza. In una sua opera che non a caso intitolerà La mia parola è no scrive: «È per un rifiuto che siamo al mondo, per essere scoglio sul mare del tempo contro cui le onde infinite s’infrangono facendosi schiuma. La nostra parola è no».

Lagerkvist oppone questo rifiuto alla realtà infinita. È il mistero scandaloso di un infinito che di fronte alla libertà dell’uomo, “facendosi schiuma”, soccombe e perde il suo significato. Ma, – come è stato scritto – per Lagerkvist è «l’inesorabile procedere senza significato» che fa l’uomo grande. Ogni altra cosa vivente trova un suo significato, un qualcosa cioè che basta a se stesso. L’uomo invece no. Deve perciò pellegrinare “senza significato” alla ricerca di qualcosa che la propria ragione non può promettere.

Afferma Luigi Giussani, a proposito di Lagerkvist, che «l’esigenza del significato nelle cose è determinante la posizione dell’uomo, del suo cuore, del suo pensiero; è determinante, nonostante la negazione. Infatti, anche se uno nega agisce, lavora magari nell’angoscia, ma sospira, aspira per il significato, ipotizzando il significato, nell’attesa del significato».

L’uomo si scopre così senza consistenza, è cioè “cenere”. Ma è proprio andando al fondo di questa considerazione che in Lagerkvist si risveglia il proprio io. Come ci dice nella sua poesia Solo quel che arde, è il proprio cuore che rende l’uomo polvere. Se l’uomo è polvere, ciò rivela però che egli è capace di amare.

Solo quel che arde / diviene cenere. / Sacra è la cenere. / Tu mi sfiorasti / e io divenni cenere. / Il mio io, il mio essere divenne cenere, consumato da te. / Così dice l’amante e il credente. / Tu mi sfiorasti. Io sono sacro. / Non io ma la mia cenere è sacra.

La nostalgia dell’amore colma l’inconsistenza umana. «È lui che accende le fiamme nella mia anima», nonostante faccia «della mia anima una landa deserta». La scoperta di questa consapevolezza apre Lagerkvist alla felicità dell’attesa:

Felice attesa / di te che verrai, / quando nella tua anima / quell’amore potrà fiorire / che col suo fuoco mi divora. / Felice attesa / di te, di te.

Il poeta attende – «nel bosco della mia giovinezza» – nel tempo di una «felice attesa di te che verrai», un’attesa che rende il tempo eternità.

Tra diecimila anni / Sotto gli alberi passerà / Una fanciulla snella e bionda / Con fiori nei capelli, / e sarà ancora primavera.

«Chi sei tu che colmi il mio cuore della tua assenza? / Che colmi tutta la terra della tua assenza?»

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http://www.f052.it, 17 giugno 2011


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