Anna Maria, cristiana devota e a dir poco fondamentalista, si aggira per Vienna portando in braccio (quasi in grembo) una statuetta della Madonna come fosse un neonato in fasce. La missione è convertire e redimere dal peccato la deviata nazione austriaca. Ma tra il dire e il fare c’è di mezzo un manesco e voglioso ex marito musulmano che, dalla sua sedia a rotelle, stacca crocifissi dalle pareti con forsennata dedizione. In arrivo per lei anche offese e schiaffoni da sconosciuti. Paradies: Glaube (Faith), secondo capitolo, dopo Paradies: Liebe, della sua “trilogia della felicità”, Ulrich Seidl ci conduce di fronte al dissacrato tema/altare della Fede, gettandoci in un iper-realismo che sa di disumano. Il regista tedesco va oltre ogni attesa attendibile, oltre l’immaginazione… oltre. Ci frusta e schiaffeggia nella sensibilità dal primo all’ultimo minuto. Non fa sconti, non addolcisce la pillola (forse sarebbe meglio dire l’ostia!), ma ci fa ingoiare a forza la medicina cattiva (più che la buona novella). Tramite lunghi piani sequenza e un predominio di macchina fissa, costringe il nostro occhio a guardare con avidità e pudore, imbarazzo e sdegno, una schiera di uomini e donne che rimangono fuori dalla Grazia di Dio. Come il suo film. Che per questo sconvolge e convince. Lourdes di Jessica Hausner in confronto a Paradies: Glaube (Faith) è acquetta di rose, scarto di magazzino.
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