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“Paradiso amaro”. In principio era la letteratura

Creato il 05 aprile 2012 da Sulromanzo

Paradiso amaroIl rapporto tra cinema e letteratura è complesso e ricchissimo. Vengono in mente tanti grandi registi che hanno girato film indimenticabili tratti da libri straordinari: Vittorio De Sica con La Ciociara o Il Giardino dei Finzi Contini, Mauro Bolognini con Senilità o Il bell’Antonio, Luchino Visconti con Il Gattopardo, solo per citarne alcuni. Ma il rapporto tra cinema ed opera letteraria si presta non solo ad un’analisi dello studio dell’adattamento del libro per la realizzazione di un film. È un rapporto vivo che suggerisce diverse domande sulla costruzione del film in quanto tale. Quali sono gli elementi che rendono una storia raccontata per immagini davvero interessante e ben realizzata? Molti esperti hanno dato risposte importanti a questa domanda.

Suso Cecchi d’Amico sosteneva che per scrivere una buona sceneggiatura è fondamentale conoscere la letteratura. Uno specialista di sceneggiatura come Chris Vogler, spiega che le storie tratte dalla mitologia funzionano benissimo per costruire l’impianto della trama. Seguendo i seminari di un acclamato maestro come Guillermo Arriaga, non si può non restare colpiti dai continui riferimenti letterari: da Shakespearea García Márquez, da Hemingway a Faulkner, da Joyce a Jane Austen, da Juan Rulfo a Julio Cortázar, da Kafka a Borges, da Kerouac a Vargas Llosa. Il grande sceneggiatore messicano spiega come ciascuno di questi scrittori gli abbia offerto ingredienti eccezionali per le storie da raccontare, tanto che a un certo punto sembra di assistere a una lezione di Letterature comparate. Arriaga sottolinea l’importanza della lettura di Freud e di un grande psicologo austriaco, Igor Caruso. Sostiene di aver trovato nei suoi libri un nuovo modo di concepire l’amore e il sesso.

L’ultimo film del regista Alexander Payne, Paradiso Amaro, (The Descendants, 2011), è a mio parere l’occasione per sviluppare la riflessione sul ruolo della letteratura nel rapporto con il cinema. Il film è tratto dall’omonimo libro della scrittrice Kaui Hart Hemmings. Tuttavia non è mia intenzione considerare il problema dell’adattamento. Devo ammettere di non aver letto il romanzo. Intendo soffermarmi sul film e devo riepilogare in breve la storia.

Un avvocato benestante di Honolulu, interpretato da George Clooney, deve affrontare l’improvviso dolore della bella moglie condannata ad uno stato vegetativo a seguito di un incidente in barca. È costretto a riannodare i fili di una famiglia fino a quel momento serena. La figlia piccola sembra non rendersi conto che non rivedrà la mamma. La figlia più grande, lontana per motivi di studio, nutre per la mamma uno strano astio. Alla fine confessa di aver saputo che la madre aveva un amante. Tutti in famiglia hanno perso qualcosa di lei, oltre alla sua presenza e il suo affetto. Tutti devono fare i conti con un passato che d’improvviso piomba sulle loro coscienze e li costringe a immaginarsi diversi. Il marito, Clooney, rivolge spesso alla moglie incosciente parole di rimprovero, battute piene di sarcasmo. Poi si commuove e ogni domanda finisce in un monologo surreale. Sente il bisogno di cercare i motivi del tradimento della moglie. Insieme alla figlia più grande comincia ad indagare per trovare l’amante. Nel frattempo c’è un affare importante da concludere. Tutta la famiglia, compresi i rami più lontani, deve deliberare la vendita della parte di un’isola. L’avvocato e le figlie si mettono in viaggio, visitano la terra che stanno per cedere e ripercorrono col ricordo i tanti momenti passati insieme con la mamma all’interno della proprietà. L’avvocato continua ad indagare e riesce a trovare l’amante della moglie. Una sera lui e la figlia lo vanno a trovare a casa. Lo avvertono delle condizioni di salute della sua amante. Lo mettono in difficoltà, fanno battute sul suo aspetto. A voce alta, sotto il loggiato di casa sua, mentre sua moglie, all'oscuro di tutto, è in casa, fanno commenti tra l’ironico e il drammatico. Dicono che se lo aspettavano un po’ meglio. Quando l’avvocato scopre che l’agente immobiliare incaricato della vendita del terreno è proprio l’amante della moglie, viene preso da mille dubbi. Alla fine, contro tutti i membri della famiglia, decide di rimandare ogni decisione, come se quel terreno fosse in fondo ancora una parte della sua vita insieme alla moglie ormai in coma. 

Quali sono i veri ingredienti della storia narrata da Payne? Sono proprio gli elementi tipici della letteratura occidentale dall’Iliade e l’Odissea in poi. C’è il tema del nostos, del ritorno: è il viaggio a cui è costretto il personaggio per riconquistare il suo passato in una faticosa ricerca della propria identità perduta dopo anni di guerre, pericoli e avventure. Nel film è il viaggio della famiglia verso la terra di un tempo, il passato ormai perduto.

Nella trama è rintracciabile anche il motivo della Telemachia. Come il figlio di Ulisse lascia Itaca alla ricerca del padre, la figlia maggiore dell’avvocato è richiamata a casa dal collegio per affrontare insieme al resto della famiglia il duro compito di ritrovare, comprendere, svelare, condividere tutta la verità sul genitore, in questo caso la madre.

Infine è chiaro il tema della mnesterofonia, l’uccisione dei Proci. Come Ulisse uccide i pretendenti che insidiavano Penelope, in Paradiso Amaro l’avvocato e la figlia maggiore ricercano l’amante della madre e sentono il bisogno di ferirlo psicologicamente, di conoscerlo per liberarsi dal peso che egli rappresenta per le loro coscienze. L’amante è il sintomo che la loro vita non funzionava. Conoscendolo, evitano che il simbolo di una esistenza con delle menzogne in famiglia venga introiettato fino a divenire per sempre parte di loro. Ironizzando davanti a lui, lo colpiscono con il motto di spirito, evirando la sua immagine della portata negativa.

Tutto è raccontato con una buona dose di sarcasmo e di ironia. Ovviamente i fondamentali elementi della letteratura occidentale, Telemachia, mnesterofonia, nostos, sono re-interpretati in chiave moderna. L’amante non viene certo ucciso. È la sua immagine che viene aggredita con il riso e la battuta. Il nostosnon avviene attraverso battaglie, maghi o tempeste. È piuttosto la rivisitazione della vita attraverso i luoghi del proprio passato. Ma questo è proprio il grande messaggio di Arriaga quando ci ricorda l’importanza degli schemi di grandi capolavori della letteratura e quando cerca nei grandi maestri della psicologia, Freud e Caruso, nuovi filtri d’interpretazione culturali. Ci avviciniamo al segreto del suo modo di lavorare: sono nati così Babel, Amores perros, 21 grammi. All’inizio era la letteratura.

Paradiso Amaro è anche l’occasione per riflettere su un altro tema: la capacità di saper gestire generi diversi nello stesso film: commedia, dramma, sentimentale. Il regista riesce a farlo con maestria. È vero che il tono è leggero, ma alla fine, dalla tragedia di una vita spezzata non si può fuggire. La famiglia dovrà affrontarla per inventarsi una nuova vita insieme. Una stagione passata del cinema italiano aveva tra le sue più pregevoli caratteristiche proprio questa capacità di trattare generi diversi. Vengono in mente grandi sceneggiatori come Rodolfo Sonego, Luciano Vincenzoni, Ugo Pirro. Loro sapevano scrivere una storia che iniziava come una commedia. Si rideva e ci si divertiva anche. Poi prendevano una strada lontanissima dalla superficialità e si inoltravano verso la riflessione su qualche avvenimento, spesso tragico, che coinvolgeva uno o più personaggi. Raccontavano la vita. Proviamo a pensarci quando assistiamo al “macchiettone” di tanti film nelle nostre sale di oggi

In principio era la letteratura, con i suoi generi e con gli elementi classici della narrazione. Ce lo ricordano i maestri di ieri e anche tanti di oggi, compresi quelli di Hollywood.

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