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Paragonare il velo delle suore al velo islamico? Roba da libri di scuola italiani

Creato il 28 novembre 2011 da Iljester

Paragonare il velo delle suore al velo islamico? Roba da libri di scuola italianiC’è un libro intitolato “Diritto e Religione”, autore Pierluigi Consorti, il quale riporta un curioso passo che si occupa di libertà religiosa. Un passo sintomatico che suggerisce ancora una volta quale sia lo stato della nostra istruzione, soprattutto quando si affrontano temi così delicati come il diritto di libertà religiosa in una democrazia. Leggete qui cosa dice questo volume a proposito del velo islamico e del suo (ancora in divenire) divieto di utilizzo in pubblico:

… Nella sua intenzione, vietare alle donne di indossare il velo a scuola mostrerebbe la decisa volontà dello stato di promuovere i diritti delle donne, impedendo di indossare un segno che, secondo questa impostazione, rivelerebbe la loro inferiorità culturale. Se questo fosse vero, non bisognerà stupirsi quando qualcuno proporrà di vietare alle suore cattoliche di esporsi velate in pubblico, dato che quello è esattamente un segno di sottomissione a Dio, o magari ai sacerdoti di indossare la tonaca. O al papa di continuare a mostrarsi indossando un così evidente segno di appartenenza religiosa…

Mi chiedo sinceramente su quali basi si fonda questo ragionamento. Vi rendete conto? Paragonare il velo delle suore con quello che portano le donne islamiche e far discendere dall’utilizzo dell’uno e dell’altro la libertà religiosa, cercando di sconfessare (senza successo) la verità che sta dietro il significato culturale e peculiare del burqa o del niqab: e cioè l’inferiorità della donna nella società islamica?
Diversi sono gli argomenti che possono essere opposti al ragionamento esposto nel libro didattico. L’autore prima di tutto dimentica un dato fondamentale e decisivo: con le suore cristiane siamo dinanzi a un ordine religioso che ha delle specifiche regole che le donne che entrano nell’ordine decidono liberamente di accettare (solitamente tali donne sono maggiorenni). Tale scelta peraltro non le pone in uno stato di inferiorità sessuale nei confronti degli uomini. Già questo aspetto avrebbe dovuto indurre il Consorti a non fare paragoni azzardati. Le donne islamiche, invece, non appartengono a nessun ordine religioso e non hanno nessuna vera scelta. Il velo lo portano perché sono donne e perché nate donne (fossero nate uomini, potevano girare a viso scoperto e senza alcun velo), e non perché decidono a una certa età di entrare in un convento la cui regola richiede l’utilizzo del velo sul capo (ma la verità è che vi sono anche ordini secolari che non impongono questa regola). Da qui l’errore: l’autore confonde l’appartenere a un ordine religioso con l’appartenere a una fede religiosa. Sono due aspetti completamente differenti. Se il primo presuppone il secondo, non necessariamente al secondo consegue il primo.
Il secondo aspetto riguarda il concetto di sottomissione. Il Consorti parla delle suore come di persone “sottomesse a Dio”. La verità è che non è proprio così. La loro non è una sottomissione, è quella che si dice una “scelta di vita”, è un modo per restare vicine a Dio e servirlo; è un modo per esprimere la loro fede. Ed è soprattutto una scelta libera. La suora, in ogni momento, può decidere di abbandonare il velo, sposarsi (se vuole) e rientrare nella società laica senza la paura che qualche uomo invasato la uccida per questo o la Chiesa la perseguiti. Ma la donna islamica? Il velo nella cultura islamica è un segno tangibile di sottomissione, e non certo a Dio, ma all’uomo in quanto essere di sesso maschile: la donna nelle società islamiche non è libera nelle sue scelte (a patto di non creare rotture famigliari) ed è considerata un oggetto di proprietà del quale l’uomo (marito, padre o fratello) può disporre come desidera. E se anche così non sempre è, la donna, nella società islamizzata, non ha gli stessi diritti e le stesse libertà dell’uomo. Per esempio, il diritto di utilizzare un auto senza essere accompagnate da un uomo.
Infine, ho una terza obiezione decisamente più pratica. Portare il velo sul capo come nel caso delle suore è più che legittimo, non solo perché è frutto di una libera scelta cosciente e ponderata, ma pure perché il viso della suora è visibile e non è occultato. Possiamo dire la stessa cosa delle donne islamiche? Certo che no. La discussione sul divieto infatti non verte sul velo che copre il capo, ma su una vera e propria maschera che copre l’intero viso: il burqa.
Tornando dunque alla discutibile opinione dell’autore di “Diritto e Religione”, è chiaro ed è lampante l’erroneità del ragionamento di fondo. Se è pure vero che potrebbe esserci qualche matto che potrebbe in un futuro vietare l’utilizzo del velo delle suore in pubblico o della tonaca per il Papa o i preti, è anche vero che se ciò accadesse delle due l’una: o siamo caduti in un regime islamico, oppure la democrazia è scomparsa in favore di una dittatura. Ma questa ipotesi non sconfessa l’altra evidente verità: vietare l’utilizzo del burqa o del niqab in una democrazia è sicuramente volontà certa di tutela della dignità della donna in quanto donna. Niente a che fare con le suore e la libertà religiosa…


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