Paranoie genitoriali su Internet e dintorni (studiando come sarò io con Tea)
Creato il 10 settembre 2013 da Danemblog @danemblogRoba normale - credo e spero - per gli occhi di un padre che l'ha vista piccola come un uccellino tolto dal nido e adesso comincia a faticare nel tenerla in braccio a lungo: perché poi ti sembra che tutto scorra velocissimo e che ti debba già preoccupare del vestito da "padre della sposa".
Tra le varie cose che mi chiedo - soprattutto in virtù del fatto che sono una persona, un genitore, molto interessata ai posti come quello in cui sto scrivendo in questo momento - è il "come sarà il suo rapporto con i social network, con internet, con il mondo digitale".
E sì, d'accordo, Tea ha cinque mesi o poco più, e ce ne sarà di tempo prima che cominci a smanettare e bazzicare certi luoghi e adesso meglio pensare a pannolini e pappette e casomai bambole e primi passi. Che forse Facebook non esisterà nemmeno più. Ma di sicuro ci sarà qualcos'altro e onde evitare l'impatto brusco con quel futuro - con conseguenti reazioni improbabili ed esagerate - meglio iniziare a guardarsi intorno.
Tempo fa, avevo pubblicato un post in cui si parlava di una lunga confessione scritta da Mathew Ingram su GigaOm: Ingram raccontava che era arrivato addirittura - quelle reazioni improbabili ed esagerate, di cui si diceva - a monitorare attraverso un software di controllo di battitura installato sui computer di casa, la navigazione delle sue tre figlie. Erano giorni vicini al caso "Datagate", e Ingram ammetteva che se avesse avuto a disposizione gli strumenti dell'Nsa li avrebbe usati - e c'è andato vicino.
L'argomento è interessante, soprattutto perché è molto umano: per arrivare ad essere coinvolto in un certo modo, una persona come Ingram - considerabile a tutti gli effetti un tech-guru, uno di quelli che mangia pane e tecnologia in salsa di futuro - significa che davanti ai figli cadono molte delle personali convinzioni e delle proprie visioni. Esempio per dire anche che, nonostante quello che io pensi su internet e sui social network e su quanto questi rappresentino in generale dei bei luoghi a mio avviso, molto probabilmente anch'io eserciterei delle azioni di controllo verso Tea.
È umano, ripeto. Ed è anche per questo che comincio a leggere e informarmi in proposito, per tempo come si dice.
Girando ultimamente mi sono imbattuto in qualcosa che ritengo un po' inquietante, anche riguardo ai mie alti livelli - o quelli che mi sono fissato per il momento - di sorveglianza; si andava a superare non tanto il limite del ridicolo (probabilmente nel caso di gran lunga oltrepassato), ma per certi aspetti forse, anche quello della legalità - quanto meno morale.
La settimana scorsa la blogger americana Kimberly Hall, ha scritto un post dal titolo "FYI (if you’re a teenage girl)". Il post inizia con "Dear girls" ed è una lettera aperta alle amiche dei propri figli maschi - tre e tutti e tre adolescenti.
Hall comincia raccontando che la sera precedente alla stesura del post, la sua famiglia si era seduta "attorno ad un tavolo" - ci sono sempre tavoli attorno a cui sedersi, in certe famiglie - per visionare le foto dei profili socialné dei figli, in particolare quelle delle loro amiche. E durante questa seduta di schedatura che neanche si stesse a visionare un book per un qualche concorso estetico, lei si è accorta che diverse di loro avevano caricato foto in pose troppo sexy per i suoi standard: magliette senza reggiseno sotto, schiene inarcate e facce sensuali - dice così.
E chiedendo alle ragazze: "Non sapete che una volta che un maschio vi vede svestite, non riuscirà a dimenticarlo? Non volete che i fratelli Hall vi guardino con intenzioni sessuali, vero?", ha bloccato tutti quei contatti che riteneva pruriginosi: "A casa nostra, non ci sono seconde chance, ragazze. Se volete essere amiche degli Hall, dovrete tenervi i vestiti addosso. Se provate a postare un autoscatto sexy, o un video inappropriato di YouTube - anche solo una volta - sarete cacciate dalla nostra isola online".
In tutto, ritenendo per qualche ragione che questa potesse essere una punizione per le ragazze - che poi non avrebbero potuto "sposare un Hall" - quella seconda occasione alla fine l'ha concessa, invitando le interessate a "correre" sui propri album online per rimuovere le foto che avrebbero portato i suoi maschietti ad immaginarle nude.
Il post ha avuto molto successo, con un ampissimo sharing (più di 4mila condivisioni via Twitter e oltre le dieci mila in Fb) a cui si aggiungono oltre 800 commenti tendenzialmente d'accordo con le parole e con l'operato di Hall - per altro molti fortemente convinti.
Al di là del merito, uno dei motivi per cui il post del blog Given Breath che Kimbeerly Hall scrive è finito fin qui, è legato proprio a questa grosso rimbalzo, l'ampia risonanza presa, nettamente al di sopra delle normali medie: segno di un interesse diffuso sull'argomento o di una condivisione compulsiva - che per riflesso significa allo stesso modo interesse.
Dal mio punto di vista personale, d'istinto reagirei contro: non sono d'accordo su quello che Hall ha fatto e non credo che sia un buon metodo quello di escludere, di tener fuori, certi argomenti. Come se nascondere la polvere sotto il tappeto, fosse sufficiente a far sì che quella polvere scompaia di fatto. Ma ho mille dubbi su quale sia la cosa giusta: l'unica sicurezza che ho è che su certe questioni mi stupisco di come le persone abbiano delle certezze così solide - e mi riferisco a quei migliaia entusiasti che hanno condiviso non tanto le parole ma la sostanza fisica di cui quelle parole consistevano.
Resta comunque una storia che a proposito di reazioni improbabili ed esagerate mi sembra emblematica, ragion per cui trovo ancora più giusto iniziare presto, da prima, ad affrontare l'argomento internet/figli; acquisire esperienze, maturare ragioni e opinioni, architettare pensieri, sedimentare istinti, per costruirmi delle buone linee guida per gestire il rapporto di Tea con internet.
Poi è chiaro, che quello che penso adesso e quello che penserò dopo, verrà del tutto cancellato da quel che farò, e da quel che sarà. Ma mi piace credere così: di avere un po' il controllo della situazione - o almeno immaginarlo.
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