Adagiato tra mare e giungla nella parte più lontana della remota penisola di Osa, il Parco Nazionale Corcovado è uno dei gioielli più scintillanti del tesoro naturale di Costa Rica. Un ecosistema formato da giungla, foresta primaria, spiagge deserte e paesaggi dominati dal ritmo delle potenti maree che ne scandiscono l’accesso.
È una terra dura, aspra, selvaggia. Nasconde insidie e pericoli dietro ad una bellezza mozzafiato, un fascino ancora intatto grazie al numero relativamente esiguo di visitatori.
Arrivare qui non è difficile, ma ci vogliono un po’ di determinazione e spirito di adattamento. Le porte d’accesso per esplorare il parco sono due: a ovest la più esclusiva e isolata Drake e a nord la più democratica e carismatica Puerto Jimenez. Noi abbiamo fatto base nella seconda, una polverosa cittadina con quattro strade, qualche negozio, qualche ristorantino e un fascino che colpisce in pochi attimi. Gli sgargianti ara macao gracchiano sugli alberi di mandorli, la gente è cordiale e la brezza nella baia che si affaccia sul Gulfo Dulce scuote le palme a ritmo lento e rilassante.
Le opzioni per visitare il parco sono molteplici, costose e tutte abbastanza complicate a livello logistico. Noi abbiamo scelto un trekking di due giorni che parte da Carate e arriva al rifugio La Serena, vero cuore pulsante dell’area. Si cammina per 20 chilometri al giorno, bisogna portarsi tutto l’occorrente per bere e mangiare per due giorni, sandali per guadare i fiumi, kway per la pioggia, borsa dei rifiuti e tutto quello che può servire durante un trekking. Si parte da Puerto Jimenez in camion o jeep e dopo quasi due ore di strada sterrata, guadi e pendii si arriva alla pista d’atterraggio di Carate e si comincia a camminare.
La distanza è grande e la guida imposta sin da subito un’andatura sostenuta. In circa un’ora, costeggiando la foresta e camminando lungo una spiaggia deserta e sconfinata, si arriva all’ingresso La Leona dove ci si registra, si fa una breve sosta e poi via di nuovo.
Nelle sei-sette ore successive la fatica è tanta, lo zaino pesantissimo e il percorso faticoso anche se pianeggiante, ma tutte le avversità sono facilmente sopportate grazie alla bellezza dei panorami, alle piccole grandi avventure che bisogna affrontare e al costante fragore dell’Oceano Pacifico che si infrange sulla costa.
Pappagalli, serpenti, iguane, formichieri, rane, scimmie e persino un enorme tapiro ci sorprendono e ci emozionano durante tutto il percorso fino a quando non arriva la parte più dura del trekking quando si è costretti a camminare lungo il mare tra rocce, scogli e sabbia che sprofonda ad ogni passo sotto un sole cocente.
Manca poco all’arrivo, ma rientrati nella giungla ci aspetta l’ultimo grande ostacolo. Un vero e proprio fiume da guadare con l’acqua che arriva alla vita e, per fortuna lo scopriamo dopo, dove vivono coccodrilli e squali che risalgono il corso durante l’alta marea.
Comincia anche a piovere, siamo un po’ intimoriti, ma anche carichi di adrenalina e con gli zaini in testa ci incamminiamo in fila indiana nelle acque plumbee. Ancora pochi minuti e il rifugio appare. Qui ci aspetta una tenda, una doccia fredda e una cucina da campo dove improvvisare una pasta al pomodoro. Le luci si spengono alle 20.00, buonanotte Corcovado.
Il mattino comincia prima dell’alba con una piccola camminata alla ricerca di animali notturni e poi alle sei si riparte perché la marea non ammette ritardi e ci aspettano altri 20 coinvolgenti, sudatissimi ed emozionanti chilometri nella natura più selvaggia.