Buongiorno a tutti cari lettori e puntuali come al solito, vi presento il nostro appuntamento con la rubrica settimanale
“5 Words for one story”
Come al solito, vi presento le parole di questa settimana:
viaggio – mistero – affinità – anime – karma
Tra pochi giorni tornerai, una volta per tutte, ed io avrò una sorpresa strabiliante per te.
Sto passando l’ultima settimana di solitudine, vagando per casa alla ricerca di un qualcosa di tuo. Non dovrebbe essere difficile, visto che vivo ancora in quel monolocale da quattordici metri quadri che da sugli Champs Elysées, dove tutto parla di te. C’è ancora quella coperta di superman che tanto hai preso in giro la prima volta che entrasti in casa mia, c’è ancora quella cornice che ti piaceva tanto e che mi domandasti perché fosse vuota. Tranquilla, adesso qualcuno ad occuparla c’è.
Siamo noi, e non voglio nemmeno dirti quanto sei bella in quella foto.
Abbiamo passato quattro mesi fantastici insieme prima della tua partenza e quella foto è sicuramente quella che in qualche modo rappresenta cosa sei per me.
La prima cosa che ti dirò quando ti rivedrò sarà uno “scusa” grande come una casa. Già, una casa vera, come quella che mi avevi consigliato di trovare.
Non hai idea di quanto mi manchi e l’unico modo per esserti vicino è ripensare ai nostri ricordi insieme.
Ci conoscemmo in biblioteca e dopo qualche incrocio di sguardi, quando ormai ero già bell’e perso nei tuoi occhi color caffè, ti chiesi il tuo nome, Claire, e subito dopo ti chiesi di uscire, balbettando le parole con il mio ancora non perfetto francese. Quel momento fu l’inizio del nostro viaggio.
Tuttavia c’era quel qualcosa che ci faceva sentire dannati e fortunati allo stesso tempo.
Io. Italiano, sconclusionato con tanti sogni nel cassetto, un amore folle per i cani e un futuro incerto, il tutto condito da una residenza a Parigi per i futuri due anni.
Tu. Parigina tutto pepe che sarebbe partita in erasmus nella mia Italia tra quattro mesi. Un insieme di post it umana. Eri una di quelle che viaggiava accanto al tempo. Non lo rincorrevi e non ti facevi rincorrere. Eri talmente ossessionata dal tempo, che quella maledetta volta ti alzasti tutto ad un tratto da dove eravamo seduti e decidesti di spegnere il sogno che stavo vivendo, dicendomi che si stava facendo tardi e che non saresti potuta stare un minuto di più.
Passai i dieci secondi più terribili della mia vita. Pensai di aver fatto davvero qualche cazzata, di aver detto qualcosa di storto e che davvero mi stava per scivolare dalle mani una ragazza come te. Fortuna che ebbi la forza di alzarmi e venirti dietro per chiederti se andasse tutto bene. Passarono quei cinque preziosissimi minuti in un battito di ciglia e li, per la prima volta, quella ad aver perso l’attimo eri stata tu. L’ultima metro diretta verso casa tua era ormai partita. Questione di Karma si direbbe, eppure quella sera, nonostante il tuo fallimento nei confronti del tempo, eri comunque felice. Mi dicesti che per farmi perdonare ti avrei dovuto accompagnare a casa. Purtroppo io e la mia patente internazionale non avevamo ancora fatto conoscenza, cosi ti chiamai un taxi e lasciai una bella mancia al tipo per non chiederti il pedaggio. Ricordo che quel taxi lo fermasti pochi metri dopo la partenza. Mi feci cenno con la mano di arrivare al finestrino e mi schioccasti un bacio a stampo di quelli che però significavano già un qualcosa. Non eri una tipa facile, e quella sera mi piacesti ancora di più proprio per questo.
Stavamo insieme da tre mesi e mezzo e quella volta ti accompagnai con la mia macchina alla stazione. Non hai idea di quanto avrei voluto cambiare il tuo biglietto e farti tornare qua un sacco di tempo fa.
Avevi un’espressione che non lasciava trasparire nulla, eri avvolta nella tua sciarpa grigia nell’immaginarti quello che ti aspettava in Italia, a Firenze, una città che non conoscevi ma della quale avevi avuto tante informazioni da me. Mi tenesti le mani fino all’ultimo e ricordo come se fosse successo dieci minuti fa quell’eterno abbraccio senza proferire parola davanti al binario otto di Gare du Nord. Il controllore ti avvertì che si stavano per chiudere le porte, nonostante si notasse la sua tristezza nell’aver interrotto quel momento. Le porte del vagone si chiusero in perfetto orario, come piaceva a te. Ricordo che mi dicesti di andare al finestrino del treno, e li, con tanto di richiamo da parte dello stesso controllore di prima, stavolta furioso, mi arrampicai e ti restituii lo stesso bacio che mi avevi regalato quella sera in quel taxi. Il nostro sguardo si intrecciò per l’ennesima volta e in qualche modo, ancora oggi, sento come se la mia anima si fosse seduta accanto a te quel giorno.
Questi mesi per me sono stati un inferno, ma ho fatto del mio meglio per rassicurarti che qua andava tutto bene. Fortuna che le qualitativamente pessime chiamate di skype mi hanno aiutato a nascondere la mia tristezza. Se fossi stata qua, accanto a me, avresti subito scoperto il trucco.
Aprii gli occhi ancora una volta, fissando il soffitto del monolocale. Fuori le macchine percorrevano il loro fantastico via vai sui Campi Elisi, ogni giorno come se fosse una parata. Erano le cinque di mattina, e mancavano esattamente due giorni al tuo arrivo. L’odore del pane appena sfornato spalancò le mie narici e visto che il sonno era partito con te, decisi di prendere il cappotto e di scendere nella Boulangerie che ho sotto casa. Cinque panini al latte, due alle noci, un cup cake per il pranzo. Passai da Starbucks a prendere un caffè macchiato, rigorosamente da portar via, visto che odio la gente che frequenta quel locale. Erano le sei e già avevo completato i miei impegni casalinghi odierni.
Mi dissi con la tua solita fretta che dovevi andare e che ci saremmo sentiti direttamente a Parigi.
Peccato che questo tuo scappare non era minimamente paragonabile a quello fatto nel primo appuntamento. Volevi forse scappare dalla realtà, e io mi sentivo già un po’ morire dentro.
Alla stazione venne a prenderti la tua famiglia e io parlottavo con me stesso convincendomi che giustamente volevi rivederli dopo tanti mesi e che poi saresti subito corsa da me per scaricare tutte le pressioni e abbracciarmi come sei mesi fa.
Ci vedemmo nella nostra enoteque preferita e quando entrasti nel locale il mio cuore sobbalzò per poi terminare subito il momento di emozione.
La tua faccia diceva già tutto pur non avendo ancora aperto bocca.
La mia eccellente notizia, ovvero che mi sarei trasferito a Parigi in pianta stabile visti i miglioramenti del mio ruolo a lavoro, sarebbe stata rinchiusa dentro i miei denti che digrignando aspettavano solo il colpo finale, come un prigioniero con le mani legate, la testa sospesa sopra un cesto e la lama affilata del boia incappucciato pronta a fare il suo veloce e pulito lavoro.
Siamo arrivati alla fine anche di questa storia. L’ennesimo pezzo del puzzle delle storie di Parigi è stato aggiunto. Che dire. Spero che vi piaccia e inoltre vi chiedo: E voi? Avete mai avuto una storia a distanza? Ce l’avete fatta o avete ceduto alla distanza? Lasciatemi un commento qua sotto e ditemi la vostra esperienza!
Lucky
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