Il Boeing 777 della Malaysia Airlines, precipitato quest’estate mentre sorvolava la zona di Donetsk in Ucraina, è stato colpito da missili aria-aria esplosi da un caccia Su-25 dell’aviazione d Kiev. A rivelarlo è un testimone, probabilmente un disertore, il quale si trovava sul posto ed ha visto il jet decollare dall’aeroporto internazionale di Dnepropetrovsk. L’area in questione da ordinaria è stata convertita, in occasione dell’inizio della ATO (anti-terrorist operation), in base di stazionamento e di decollo di mezzi militari.
Il Su-25 è partito insieme ad altri due velivoli che, contrariamente al primo, non erano armati con gli stessi vettori. Dunque, i colpi sono stati esplosi da un solo apparecchio la cui missione era inequivocabile sin dal principio. Del resto, a cos’altro potevano servire dei missili aria-aria se si considera il fatto che i separatisti non potevano fronteggiare gli ucraini in cielo, non disponendo a loro volta di aerei da combattimento?
Ad ogni modo, il testimone racconta che l’equipaggiamento con tali razzi non era inconsueto. Forse gli ucraini aspettavano una circostanza favorevole per creare un caso internazionale e rovesciare le sorti di un conflitto che stavano perdendo. Era necessario per loro sviare l’attenzione dal genocidio che stavano commettendo nel Donbass facendo ricadere, al medesimo tempo, sui russi la responsabilità per un evento gravissimo, come la morte di decine cittadini stranieri, abbattendo un volo passeggeri.
Il pomeriggio di quel 17 luglio 2014, narra ancora il testimone, dei tre Su-25 decollati (le missioni duravano circa un’ora) ne tornò soltanto uno. Gli altri due furono abbattuti dai separatisti. Ad atterrare fu proprio quello del Capitano Vladislav Volochin di un’unità di stanza a Nikolaev ma operativa a Dnepropetrovsk, ormai privo di munizioni, il quale aveva la faccia stravolta. Il fatto interessante è che quelle “munizioni”, a meno di uno scontro diretto in volo, dovevano essere ancora al loro posto. Ma, stranamente, non c’erano e non si avevano nemmeno notizie di fronteggiamenti con aerei nemici. Inoltre, quella era la prima volta dall’inizio del conflitto che accadeva un episodio del genere. Nelle altre missioni in cui i su-25 dotati di missili aria-aria si erano alzati erano sempre ritornati con il loro carico “speciale”. Quel 17 luglio no.
Il pilota, sostiene il testimone, era visibilmente scosso e forse non era sua intenzione bersagliare il Boeing ma il panico lo aveva tradito. Paura o vendetta hanno preso il sopravvento sui suoi nervi. Può essere, ma altri indizi segnalano che potrebbe essere stato tutto programmato scientemente dai vertici di Kiev. Come il cambiamento di rotta imposto al Boeing da una torre di controllo di Dnepropetrovsk o di Kiev. Scendendo dal mezzo il capitano avrebbe pronunciato queste parole: “Non era l’aereo giusto” e poco dopo anche “quell’aereo si trovava al momento sbagliato nel punto sbagliato”. Cercava di scagionarsi o di togliersi un peso dalla coscienza, oppure era prostrato per aver fallito il vero obiettivo: il jet di Putin che tornava dal Brasile in quelle stesse ore. Comunque, la sua coscienza deve essere piuttosto piccola e misera se è vero che il capitano Volochin continua ancora oggi a salire a bordo del suo Su-25 e a bombardare indiscriminatamente gli abitanti della Nuova Russia. Il testimone sostiene che i militari ucraini stanno utilizzando contro le popolazioni dell’est ogni tipo di arma vietata dalle convenzioni internazionali, in ossequio all’ordine ricevuto dalla Capitale di sterminare la gente, di far fuori tutti i russofoni com’era nelle intenzioni dei leader di Kiev sin da dopo Majdan.
Ormai tutti i tasselli del mosaico stanno andando al loro posto, nonostante gli insabbiamenti dell’occidente e i depistaggi della stampa. La verità è già venuta fuori ma non c’è più cieco di chi non vuol vedere. Queste conferme dovrebbero convincere l’Europa e l’Italia a ritornare sui propri passi e a cancellare le sciocche sanzioni che hanno comminato ad un’ incolpevole Russia. Se Bruxelles continua a non capire, Roma deve agire a tutela dei suoi interessi contravvenendo a tali misure autolesionistiche che non hanno alcuna ragione di esistere. La guerra economica con Mosca ci sta costando troppo e gli italiani non possono e non devono subire le conseguenze di scelte geopolitiche che li danneggiano, in una fase di crisi gravissima per il paese. Chiunque tra i nostri politici continua a rendersi complice di questo sfacelo diplomatico tradisce la nazione e come traditore dovrebbe essere giudicato, dalla Storia e dai tribunali.