Magazine Cultura
“Parlami, dimmi qualcosa” di Manlio Cancogni (ediz. Elliot)
Succede, a volte, che il destino di un romanzo rispecchi in qualche modo l’altalenarsi delle vicende narrate al suo interno – circostanza che mi stuzzica la fantasia, sempre. Così, dopo aver letto un trafiletto non ricordo più dove di questo incantevole “Parlami, dimmi qualcosa” di Manlio Cancogni sono entrata nella libreria che mi sembrava la più fornita decisa a comprarlo. Perché il libro è uscito con grande successo nel 1962 per Feltrinelli, nella collana di narrativa contemporanea diretta da Giorgio Bassani, dopodiché è stato ristampato negli anni settanta da Garzanti e poi, per molti anni, è scomparso dalla circolazione, all’apparenza dimenticato, quando invece è la Casa Editrice Elliot, oggi, a quasi cinquant’anni dalla prima pubblicazione, a riproporlo a sorpresa.
Negli anni, un susseguirsi di tempi più o meno fortunati, un avvicendarsi dell’interesse dei lettori, che a volte risultava acceso, entusiasta e altre volte fiacco, come indebolito, pronto a rigenerarsi con le ultime letture e i nuovi autori. Atteggiamento questo che un po’ ritroviamo nel protagonista del romanzo nei confronti del suo stesso matrimonio e della sua famiglia.
Manlio Cancogni descrive, infatti, le dinamiche più intime del rapporto di coppia e dell’amore coniugale che resiste al tradimento attraverso il protagonista – giornalista e scrittore anch’egli – che per mezzo di un flusso di coscienza impetuoso e sferzante racconta la sua storia con Sara, dal fidanzamento al matrimonio, al cambiamento di residenza nella casa di famiglia della moglie, a Ripa, nella campagna lontano da Firenze, alla nascita delle due bambine. Un’armonia che lo stesso protagonista vive con profonda inquietudine tanto da arrivare a fuggire a Parigi con la giovane amante, Margherita, tra artisti e sogni di gloria, per poi, soltanto più tardi, affrancarsene e tornare dalla moglie, rimasta a casa ad attenderlo, custode del loro amore. Tutto questo viene vissuto, non senza turbamento, come un’incessante ricerca della felicità nel dividersi fra la moglie e l’amante: “Amavo mia moglie, le bambine, i cani, la casa, desideravo di restare con loro, per tutta la vita, sapendo però che appena avessi deciso di restare, rinunciando a Parigi, sarei stato il più infelice degli uomini'' dice in un primo tempo l'io narrante perché, in seguito, cambierà idea e giungerà ad incolpare l'amante, Margherita, molto più giovane di lui ''di essere amorale'' e come i giovani del Quartier, a Parigi, ''di vivere alla giornata, al domani non si pensa; legami nessuno, rispetto per i genitori, gli anziani, la società, niente. Niente ideali, né principi, né fede, nessun Dio, solo l'amour naif, come dicono questi cretini di qui a Parigi.”
Lapalissiano, l’io narrante è un vero e proprio antieroe. Mascalzone e cialtrone, racconta alla moglie di doversi recare a Parigi per ragioni professionali, le lascia intendere che solo a Parigi potrà diventare un grande drammaturgo e sceneggiatore che qui da noi non c’è spazio per emergere che ci deve almeno provare che bla bla bla … E pure all’amante mente con spudoratezza raccontandole di non aver più rapporti con la moglie, giurandole amore eterno nella città che più di tutte rimanda all’Amore, Parigi, fra lenzuola impregnate del loro sudore e il cielo azzurro dietro il Sacro Coeur. Ed è pure ozioso e scansafatiche nel momento in cui a Parigi, dove vive per l’appunto con la giovane Margherita, si mantiene con i soldi che la moglie, ignara o forse no, gli invia periodicamente. E quindi cinico e sprezzante. Eppure il protagonista non risulta mai odioso, non si riesce davvero a detestarlo; per quanto superbo, arrogante e borioso possa essere emerge dalle sue parole un lato sognatore che lo rende estremamente umano, così attanagliato dai dubbi e dai sensi di colpa, perché, comunque, in tutto questo frenetico andirivieni Ripa-Parigi, Sara- Margherita, lavoro-ozio… non riesce a godersi nulla ma nulla per davvero. Si acquieterà soltanto quando farà la sua scelta e ritornerà a casa. Ma forse nemmeno allora.
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