Premetto che non amo i romanzi esplicitamente dolorosi. Mi piacciono gli autori che sanno faticare come minatori nelle profondità dell’animo umano, ragionare sui nostri istinti, creare situazioni-limite, ma quando qualcuno mi sbatte in faccia una storia che non può avere altro sviluppo che il dolore, in genere provo fastidio. Ecco, in questo caso non mi è successo, o forse solo a tratti, e ciò si deve al fatto che Neuman non va in cerca di effettacci, di facile mélo, ma prova a costruire tre monologhi interiori coerenti e profondi. Tre, perché tre sono le voci che raccontano questa storia dalla trama semplicissima: Mario, malato terminale; Elena, sua moglie; Lito, il loro figlio di 10 anni. La storia è questa: Mario parte per un breve viaggio con Lito, che ha sempre sognato di fare una consegna in camion insieme al padre; Elena, mentre i due sono via, non trova nulla di meglio che intessere una relazione sado-maso con il medico curante di Mario. Facile intuire da dove nascessero i miei timori, difficile spiegare, in breve ma senza semplificare troppo, perché Neuman evita in gran parte di dar loro corpo. Il segreto sta tutto nelle voci dei tre narratori e non risiede banalmente nel fatto che sono diverse per stile e per punto di vista – cosa che spesso si riduce a una sterile prova d’abilità – ma soprattutto nel fatto che sono profondamente differenti per coerenza interna e immaginario. E che messe una di fianco all’altra, con le loro sfasature, non solo temporali, riescono a formare una piccola orchestra da camera, a suonare insieme un pezzo che, eseguito da un solo strumento, sarebbe risultato incompleto oppure – e torniamo al cuore della questione – melodrammatico. Ci aggiungo una punta d’ammirazione per quella voce di bambino, quel controcampo di gioie semplici e infinita vitalità che rende emotivamente più tollerabile un libro capace di grande durezza nell’interrogarsi sulla malattia e su come questa modifichi non solo il futuro e le relazioni tra le persone – aprendo la strada a menzogne e non detto – ma cambi irrimediabilmente il presente che continua a scorrere, che continuiamo a vivere.
Parlare da soli, Andrés Neuman, traduzione di Silvia Sichel (Ponte alle Grazie, 200 pp, 14,80 €)