Lo confesso.
Che altro c’è da dire e da scrivere sulla festa della donna senza cadere nella trappola del già visto, detto e sentito e senza rischiare di essere banali? Vogliamo parlare del business che ruota attorno a una ricorrenza la cui tragicità storica si è ormai persa? Del commercio, non di rado improvvisato, ai semafori, di ramoscelli di mimose rinsecchite? Delle cene per sole donne o peggio delle cene con spogliarello, occasioni in cui sguaiatezza e volgarità raggiungono livelli imbarazzanti?
La fiera delle banalità.
Perdonatemi, ma proprio nessuno di questi aspetti meritava un mio approfondimento e la conseguente noia dei miei quattro lettori.
Dando per assodata l’assoluta ignoranza che impera tra la maggior parte delle donzelle in merito all’evento tragico che l’8 marzo ricorda, non riesco a capacitarmi del perché si debba ancora ostentare e sbandierare l’affermazione dell’emancipazione femminile o un suo surrogato quando in realtà oggi, e qui la dico grossa, non vedo differenze sostanziali tra uomo e donna. Nella spasmodica lotta, per certi versi assolutamente lecita, per affrancarsi da secoli di sudditanza economica, sociale e psicologica, la donna è diventata un alter ego maschile, perdendo la sua unicità e specificità.
Se questo è vero, allora, mi sembra anacronistico festeggiare la donna.
Quello che (ci) sfugge, purtroppo, è che dovremmo recuperare la nostra straordinaria ordinarietà, le nostre peculiarità, senza fingerci diverse da quello che siamo, cercando la nostra personalissima via alla felicità e alla realizzazione, smettendola di entrare in conflitto con l’altra metà del cielo, se non addirittura con noi stesse.
Noi donne abbiamo la fortuna di essere tutto e il contrario di tutto, siamo “dolcemente complicate”, siamo “in cerca di guai” e questo ci consente di esplorare infiniti mondi.
Sta a noi scegliere, senza pressioni, se viaggiare per sempre o mettere radici.
Non si nasce donne: si diventa. Simone de Beauvoir