Maria Carla Gullotta è nata a Roma, dove ha insegnato per sedici anni. Il suo amore per la musica e la cultura raggae la hanno portata in Giamaica, dove ha trovato il modo di coniugare la sua passione musicale con l’attivismo in favore dei diritti umani fondando la ONG Stand up for Jamaica. Oggi scrive di musica raggae, è proprietaria di una guest house a pochi chilometri da Port Antonio, dove è anche corrispondente consolare, ed è impegnata a tempo pieno nella difesa dei diritti degli oppressi.
Di cosa ti occupi in Giamaica?
Vivo in Giamaica dal 1991. Ho una guest house nel Portland e un ufficio a Kingston che ha molteplici funzioni. Infatti è la sede del Consolato Italiano di Giamaica e anche la sede di Stand up for Jamaica, una ONG che si occupa di diritti umani e progetti ad essi legati. La mia scelta è nata sia dall’amore per il reggae che dalla consapevolezza che in Europa avevo esaurito la pazienza rispetto al modo in cui si intende la vita. Amo la forza della gente di qui, la capacità di non drammatizzare e la voglia di sorridere. Se la vita qui è durissima – come in Italia neppure si può immaginare – c’è però una vitalità incredibile e un modo leggero di viaggiare attraverso le peripezie e i guai.
Di che cosa si occupa Stand up for Jamaica?
Stand up for Jamaica è nata come un patto tra la gente del reggae con cui lavoro da tanti anni. Se si ama la musica si è in dovere di dare un aiuto ai sufferers. Perciò abbiamo iniziato 12 anni fa con delle serate di beneficenza e poi siamo diventati un’associazione no profit e abbiamo iniziato a lavorare in Giamaica su progetti concreti. Ritengo che chi sappia e conosca debba mettere le sue capacità al servizio di chi non ha nulla e non sa come uscire da una logica di povertà e violenza. Il lavoro è spesso duro, ma se si riesce a creare un polo positivo in cui si impara, si cresce, si cambia, non è davvero tempo perso.
La Giamaica per molti non è che un paradiso caraibico. Qual è la situazione reale del Paese?
La Giamaica non ha grossi problemi in termini di liberta civili o di diritti. Almeno sulla carta le leggi ci sono, ma sono scarsamente rispettate, perciò una delle nostre mete è di gridare forte perchè non siano ignorate da chi detiene il potere. Il Paese è povero perchè la corruzione è devastante e si mangia tutto quello che si produce. Pertanto esistono i molto ricchi e i poverissimi. Il costo della vita è uguale al nostro, ma i salari minimi sono di 50 euro alla settimana: inutile stupirsi se la gente si arrangia in mille attività illegali per sbarcare il lunario. Non è difficile capire per chi è italiano cosa voglia dire vivere in zone controllate dalla mafia, e la mafia è strettamente connessa con il potere politico
Quali sono i principali progetti su cui siete impegnati?
I progetti sono parecchi. Ci occupiamo di riabilitazione ed educazione nelle carceri e in questo momento abbiamo circa 1200 prigionieri che studiano, imparano un lavoro, fanno seminari sul controllo delle emozioni e imparano a suonare uno strumento, a comporre canzoni, a diventare tecnici del suono e programmatori di computer. Seguiamo chi esce dal carcere per un anno, lo aiutiamo a reinserirsi in famiglia a nella sua comunità e gli cerchiamo un lavoro. Assistiamo alcune delle loro famiglie, soprattutto i bambini che mandiamo a scuola spesso a spese nostre. Siamo parte del team che addestra i nuovi poliziotti e impartiamo loro 40 ore di lezioni sui diritti umani all’interno corso. Abbiamo due giorni alla settimana dedicati ai bambini abusati e alle donne brutalizzate. Ci occupiamo di alcune situazioni relative all’ambiente e alla lotta delle comunità per non perdere gli spazi di incontro a causa delle privatizzazioni di tutte le spiagge più belle. Inoltre lavoriamo in due scuole e nel rifugio dei senza tetto di Port Antonio.
Qual è la situazione dei più giovani?
La situazione dei ragazzi è molto negativa. Non studiano, non hanno un padre, non hanno nessuno con cui parlare
Alla fine gli unici con cui confrontarsi sono altri ragazzi piu grandi che li prendono sotto la loro ala e gli insegnano i rudimenti del crimine organizzato. Non si puo crescere senza avere avuto nessun insegnamento, e nessuno strumento. Le madri dei ragazzi del ghetto sanno che i figli sono a rischio e che la loro vita vale poco.
Qual è il vostro rapporto con la comunità locale?
Non sempre è facile lavorare, soprattutto nelle zone controllate dai don che non vogliono interferenze e temono di perdere il controllo della loro gente. Il governo è latitante, oppure lancia iniziative tutte sulla carte che non diventano quasi mai operative. Noi non siamo ostacolati, ma perdiamo moltissimo tempo nel pretendere che quanto promesso o previsto diventi realtà. La gente ha paura di esporsi perché un errore o una parola sbagliata possono costare loro la vita, e noi non vogliamo mettere in pericolo nessuno.
Anche la violenza della polizia è un fenomeno molto grave in Giamaica…
I processi che vedono coinvolte le forze di polizia durano anni, nel frattempo chi ha ucciso resta in servizio attivo e su dieci richieste di condanna si è fortunati se ne vengono confermate un paio. Questo garantisce un’impunità di fatto a chi, invece di rappresentare la legge, decide di fare lo sceriffo. Fa paura il silenzio assordante che circonda gli episodi di violenza e la mancanza di diritti della povera gente.
Cosa possono fare i turisti e i viaggiatori diretti in Giamaica per vivere la loro esperienza con maggiore consapevolezza?
Chi viene in vacanza non sa e non si accorge dell’altro lato di un Paese fatto di chiaroscuri. Non esiste pericolo nelle zone turistiche e neppure nelle città, a meno che qualcuno non decida di farsi un giro nei ghetti di notte. Anzi il visitatore sprovveduto viene assistito dalle gente della zona che cerca di proteggerlo in modo molto amichevole. La violenza è legata a logiche interne che non riguardano il visitatore, ma credo che sarebbe bene se, oltre a godere delle belle spiagge e dei grandi concerti, si manifestasse qualche curiosità, qualche tentativo di capire e conoscere la realtà giamaicana. Se chi arriva non sta sulla difensiva, e si siede e conversa, potrà ascoltare tante storie, tante testimonianze tristi o divertenti ricche di umanità. Non chiudetevi nei resort e, stando un po’ attenti, avrete modo di conoscere e apprezzare un popolo fantastico.
Flavio Alagia
Dopo una laurea in giornalismo a Verona, mi sono messo lo zaino sulle spalle e non mi sono più fermato. Sei mesi a Londra, un anno in India, e poi il Brasile, il Sudafrica… non c’è un posto al mondo dove non andrei, e non credo sia poco dal momento che odio volare. L’aereo? Fatemi portare un paracadute e poi ne riparliamo.