(Nicola Mente) - Ci risiamo. Non nuova a situazioni simili, l’Italia è un paese in cui l’amarcord resta sempre il miglior pozzo ove sguazzare, tra schizzi d’acqua infantili e reticenze pesanti come il piombo. Piombo che è finito nelle gambe diRoberto Adinolfi, piombo che ha sconvolto quindici lunghi anni di storia della nostra era repubblicana, e che ora affligge l’immaginario più retrò, portando con sé anche le bombe. Come sempre accade, giornali e tiggì offrono al telespettatore il tempo di un giudizio lapidario, e nulla più. Non interessa il contenuto, interessano emotività e strategia vincente. Non discostandosi molto da questo cliché, la giornalista Lucia Annunziata (quanto consapevolmente non si saprà mai) ha deciso di rompere gli schemi del linguaggio televisivo per tentare di capire, attraverso affinità e differenze, quali possano essere i prodromi di questa tensione sociale che ha cominciato a portare un richiamo della violenza politica, direttamente dalla periferia più ombrosa del nostro inconscio. Nella puntata de “In ½ Ora”, andata in onda una decina di giorni fa, la Annunziata ha voluto dedicarsi al problema (che allora era solo di natura eversiva, senza che si paventasse la possibile ombra stragista) attraverso le esperienze dirette dei protagonisti degli anni della lotta armata, fenomeno annunciato come se fosse all’anticamera di una nuova esplosione.



La “par condicio” Sabina Rossa-Sergio Segio non deve esistere, proprio perché è arrivato il tempo di far cadere etichette e ruoli ormai consegnati ad una storia passata, storia da utilizzare per comprendere nuovi possibili pericoli, e non per alimentare inutili recrudescenze.

Sergio Segio è una persona a cui dovrebbe essere permesso di parlare, ed è una persona da cui si può riuscire a trarre elementi preziosi per far sì che non si possa più innescare un processo di guerra. La sua è una visione empatica di un mondo che è stato il suo. L’esperienza diretta, seppur atroce, è il miglior bagaglio culturale che si possa tramandare. L’esclusione coatta per chi ha affrontato un delicato processo intimo, il pregiudizio e l’astio nei confronti di chi ha riconosciuto e pagato i propri errori, fanno parte di un imbonimento mentale che porta ad avallare le folli pretese di un ministro che vuole riempire le strade di militari, legittimando così la stessa “dottrina dello scontro” da cui Segio ed altri sono usciti.


Gianni De Gennaro, ex Capo della Polizia ai tempi del G8, oggi Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio
Anche Sabina Rossa non si discosta poi molto da questo pensiero, rimanendo però su binari squisitamente politici: cosa che – a dire il vero – fa perdere un po’ di forza al ragionamento della parlamentare (che non nasconde le proprie difficoltà quando il discorso cade sulla nuova nomina da sottosegretario per l’ex capo della polizia Gianni De Gennaro). Strana l’inversione per la quale trent’anni fa era Sabina a rappresentare la parte umana di un mondo intriso di disumanità, lo stesso mondo di cui Segio recitava il ruolo principale. Dopo anni, le posizioni sembrano invertirsi: da una parte il pensiero politichese di una donna inserita ormai in un meccanismo ben oliato, dall’altra le analisi ben più umane di chi ha avuto modo di ragionare sulla propria esperienza e sulla propria caduta.

La minaccia, dunque, incombe su un’Italia statica e incosciente, ancora avviluppata nei suoi drammi passati, in cui ama crogiolarsi. Eppure, tra militari all’orizzonte, bombe davanti alle scuole e condanne figlie dei tabù più incrostati, si continua a dire (anche per bocca delle istituzioni) che «questa volta il paese è preparato». Quel che si riscontra è invece un paese ancora convalescente e ancora alle prese con gli scheletri nel proprio armadio, che nessuno ha intenzione di smantellare. Di questa presunta preparazione ancora non v’è traccia, tra ombrelli che sembrano tutti chiusi mentre il temporale incombe alle nostre spalle.
(Pubblicato sul “Fondo Magazine” del 22 maggio 2012)



