Oggi ho imparato un verbo che non conoscevo.
L’ho sentito così, en passant, proveniente dalla bocca di una signora che spiegava come quel tal mazzo di fiori finti in pizzo chiacchierino era stato fatto in due diversi momenti: sua sorella aveva cucito i singoli fiori, quindi lei li aveva
assiemati.
Come sempre quando qualcosa mi colpisce, ho fatto un bel sorriso di circostanza mentre in testa – invisibile a tutti – si scatenava il putiferio.
… Assiemare? Che razza di verbo è?…
Beh, si sa: signora non troppo giovane, dialetto bergamasco… magari una piccola italianizzazione?
Eppure, se ci pensate, il verbo italiano corretto (meglio: più diffuso, dal momento che assiemare è, come ho poi scoperto, corretto ma piuttosto raro) è assemblare.
La sentite, vero?, la pesantissima influenza del verbo francese assembler?
Insieme= ensemble.
Mettere insieme= assembler.
La parola è qualcosa di magico. Dalla nascita è in perenne movimento: si trasforma, passa da una lingua all’altra come attraverso un setaccio. E la ritrovi sempre, uguale eppure diversa. Più ricca, più vissuta, più affascinante.
Sono innamorata della parola.