In margine ai gravissimi fatti di Libia (morte e sangue), fatti che per efferatezza premeditata si commentano tragicamente da sé e, andando subito oltre ogni ideologismo o deleterio fanatismo religioso di maniera, io plaudo alle parole del presidente americano Obama (qualcuno ironicamente potrebbe probabilmente dirmi che è facile farlo in circostanze come queste) e sottolineo semmai con lui e insieme a lui (pensiero a caldo il "suo"), l’importanza della comunione delle differenze religiose per la pace.
Senza dialogo e senza intesa (e non sono certo io la prima, o la sola, a dirlo) non può esserci pace alcuna.
Il dialogo è l’unico ponte possibile per andare incontro all’altro, incontro appunto alla sua umanità.
E ogni violenza gratuita sull'uomo deve, proprio per questo, essere oggetto di condanna.
Tendenziosamente si legge di questi tempi, sempre più spesso e da più parti, che il cristianesimo non solo non ha o non dovrebbe avere più posto nella società post-moderna, super-tecnologizzata, trionfo indiscusso e indiscutibile della scienza-totem, per la quale “Dio non è” e che l’uomo, protagonista assoluto sulla scena del teatro-mondo, pago della sua “apparente” libertà, è capace ormai di ogni progresso senza nessun ricorso ad altro se non a se stesso.
Ma, addirittura, s’insinua che il cristianesimo istigherebbe al male (e lo avrebbe fatto naturalmente sopratutto anche in passato) nel momento in cui pretenderebbe o avrebbe preteso d’essere l’unica e/o la migliore delle religioni possibili al mondo.
Le crociate in Terra Santa contro l'Islam, per esempio. Esse sono il classico coniglio, che fuoriesce agevolmente e, al momento opportuno, dal cilindro del “prestigiatore”.
Ma leggiamo attentamente cosa scrive piuttosto Michel de Certeau (1925-1986),ripensando magari allo "spirito" diAssisi.
Gesuita, storico e filosofo francese e anche di notevole spessore culturale, egli evidenzia,a chiare lettere un concetto che noi tutti dovremmo tenere forse bene in mente e possibilmente da subito.
L’esperienza cristiana rifiuta –dice de Certeau – la riduzione alla "legge" del gruppo (i cristiani non sono e non sono mai stati una setta) e questo significa dinamismo in progress. Ricerca di orizzonti ampi e mai di spazi angusti o di un’identità definita una volta per tutte. E il dinamismo è assicurato – egli continua – proprio dalla venuta dello straniero,cioè da una solidarietà che è sempre articolata al rispetto della differenza.
E, se nascessero dubbi in merito, come è anche giusto che possa essere, si può sempre leggere o a rileggere del “nostro” “L’Etranger ou l’union dans la différence,Paris, 1969)”.
Queste cose , scritte da un prete,che non era certo un curato di campagna (con tutto il rispetto per i curati di campagna, spessissimo esemplari quanto indispensabili nel loro “servizio”) si leggevano tanti anni fa, nel clima post-conciliare del Vaticano II e ai tempi della famosa contestazione studentesca.
Le stesse si ripropongono , in tutta la loro attualità, in un mondo con troppe ferite che, per la complessità del “garbuglio” in cui è avviluppato, ne ha più bisogno oggi di allora.
Marianna Micheluzzi (Ukundimana)
Il dipinto in alto, che accompagna il testo, è del pittore spagnolo Joseph Segui Rico