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Parole senza motivo 2012

Creato il 14 febbraio 2012 da Danielevecchiotti @danivecchiotti

Parole senza motivo 2012«Sono solo parole
Sono solo parole parole parole, parole»
Riecheggia vagamente la grande canzone scritta da Giancarlo Del Re e Gianni Ferrio, il testo che Noemi, questa sera, presenterà per la prima volta sul palco del Teatro Ariston.
Ed effettivamente danno l’idea di non riservare grosse sorprese, i pezzi di Sanremo 2012, per lo meno a leggerli così, senza motivo, come sempre facciamo prima che anche le melodie diventino più o meno note e vestano questi versi che, banali come sono, danno l’idea di essere sempre un po’ troppo nudi.

«Ho… dato la vita e il sangue per il mio paese
e mi ritrovo a non tirare a fine mese»
attacca la favorita della vigilia Emma Marrone, e a me più che la poesia di un momento artistico sembra di sentire il solito ritornello propagandistico di Pieferdinando Casini.

E, rimanendo in tema di Pier, anche Carone – già autore di frasi memorabili e vincitrici quali “a far l’amore in tutti i modi, i luoghi, in tutti i laghi” – decide di giocare la carta dell’impegno, e di debuttare al Festival con un ritratto triste e politically correct di una prostituta:
«Piove ma non ti puoi riparare,
C’è un camionista da accontentare
Nanì, Nanì, Nanì
Anche lui è solo come noi
Siamo dentro a un mondo senza
eroi
Dimmi perché tu ami sempre
gli altri ed io amo solo te»
Probabilmente il Faber di “Bocca di Rosa” si rivolta nella tomba ma, chi può mai dirlo, magari  il nostro ex premier apprezzerà, e perché no?… fuggito Dalla, Apicella ne farà una cover neomelodica.

Nonostante si sia rifatta il look e adesso aspiri al ruolo di interprete impegnata ed intensa, la povera Arisa non sembra essersi scostata granché dalle filastrocche con la rima facile che le hanno dato il successo:
«E quando arriva la notte e resto sola con me
La testa parte e va in giro in cerca dei suoi perché
Né vincitori né vinti si esce sconfitti a metà
La vita può allontanarci l’amore continuerà»
Magari mi sbaglio – e me lo auguro – ma la Mannoia di “Le notti di Maggio” mi sembra un’altra cosa.

Chiara Civello invece parte assai bene:
«Seguo l’immaginazione
la strada dei passi passati da qui
Sento una dolce evasione negli occhi
che mi hanno guardato così
Trova una buona ragione
qualcosa da fare
per dirmi di no»
Solo che poco dopo tutto scivola nella classica ingredienteria sanremese, compresa di “un prato di stelle”; di “un filo d’argento” e dell’immancabile “infinito”. Peccato.

Nina Zilli, lo sappiamo, è vintage, e in piena coerenza con la sua acconciatura e con il suo stile retrò ci ripropone tel-quel un testo che potrebbe esser stato scritto per AnnaRita Spinaci:
«Perché se perdo in amore perdo te
Che accendi il mondo per un istante e poi
Va via la luce »
E chiedo scusa per il paragone (ad AnnaRita Spinaci, ovviamente).

Bersani, come di consueto, scambia l’essere cantautore intellettuale con lo scrivere testi sconclusionati con parole scritte su tanti fogliettini, buttate in un bussolotto e messe in fila ripescandole a caso:
«Un pallone bloccato
Fra gli uccelli su un tetto
Finge di essere un uovo malato
In attesa soltanto di un colpo di becco»

In totale sintonia con nonsense di Samuele anche Zucchero imparruccato, alias Irene Fornaciari:
«Continuerà a domandarlo il merito
Picchiando la grondaia
Col becco sofderato
Che è l’unica sua spada
Notte, notte»
A quanto pare questo sarà proprio l’anno dei becchi che sputano frasi sconclusionate.

I Marlene Kuntz, inutile dirlo, amano tirarsela da outsider, da quelli che col Festival non hanno niente a che spartire, e cominciano subito con quelli che sembrano tanto raffinati insulti all’indirizzo della lieta platea sanremese:
«La felicità non è impossibile
La stupidità la rende facile»

Finardi – pace all’anima sua – si butta in una onesta autobiografia, ma purtroppo essere sinceri e personali non serve a diventare cantautori:
«Appena mi rendo conto
Di avere perso la metà del tempo
E quello che mi resta è di trovare un senso
Ma tu, sembri ridere di me,
Sembri ridere di me…»

Sullo stesso tono autoreferenziale anche il rock neomelodico di D’Alessio e Bertè, con lui, uomo dal cuore d’oro che prova a salvarla da se stessa:
«Fermati un momento
Dimmelo chi sei
Unica guerriera
Non ridi mai
Prova un po’ ad amare
E amati di più»
Ma Loredana non è Loredana se la si stacca dal suo ruolo distruttivo di donna senza affetto  che amici non ne ha nemmeno a Napoli, e quindi gli fa il solito controcanto aggressivo e disilluso:
«Io non voglio amare
Solo libertà
Sono chiusa a chiave
e ci resterò
So di farmi male
Male non mi fa
Voglio stare sola
Così mi va»

Insomma.. anche Sanremo 2012 è la solita accozzaglia di parole dejà-entendu.

Eppure qualcosa della vecchia tradizione manca. Perché sembra proprio che, preoccupati di apparire troppo banali, i partecipanti abbiano evitato come la peste bubbonica la sdolcinatezza sentimentale, e la classica, scontatissima ma ormai meno prevedibile di tanti versi ricercati, rima “amore/cuore”.

Per fortuna ci vengono incontro i Matia Bazar, che dopo anni di musica innovativa, da circa due decenni proprio non ce la fanno più, ad inventare qualcosa di interessante e, completamente privi di idee, ripetono addirittura il “brivido caldo” di molti festival fa:
«E spari su di me …
Caldi brividi, fredde lame oramai …
Di un inverno che … che non finirà mai
Baci come spine, sulla bocca mia …
Senza respirare, scivolando via …
Sei tu, sei tu, sei tu … che mi hai rubato il cuore!! »

Poi ci sarebbe Renga. Che sembra impossibile sia lo stesso che ha fatto da leader ai Timoria.
«E ti guardo perché sei perfetta
Sei la cosa che più mi spaventa
Mentre togli il vestito di fretta
Non rimane che la meraviglia
Che la tua pelle nuda risveglia»
Sarà anche erotismo, chissà, ma a me sembra più una triste pruderie da porcello della terza età in stile Franco Califano odierno.

Così, tra tutte queste parole senza motivo che attendono di raccontarci la loro linea melodica per provare ad entrarci nelle orecchie e nella testa, quella che mi interessa di più a una prima lettura è Dolcenera. La quale, come tutti gli altri, non stupisce e non è certo Mogol, ma almeno azzecca una strofetta nella quale un po’ mi sembra di riconoscermi, e a leggerla così sembra, tutto sommato, meno scontata delle altre. Che a Sanremo è già moltissimo:
«Come sarebbe bello potersi dire
Che noi ci amiamo tanto,
Ma tanto da morire
E che qualunque cosa accada
Noi ci vediamo a casa»

In fondo, l’inizio di questo 62° Festival coincide con la notte degli innamorati. E, se proprio dev’essere una frase da cioccolatino, tanto vale che sia la bella speranza che, qualunque cosa accada, ci rivedremo a casa.

Perché Sanremo è Sanremo.


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