Il 30 maggio l’udienza del processo in cui sono usciti dall’indagine gli operai macedoni, rimanendo un solo indagato: Salvatore Parolisi, marito di Melania Rea, massacrata con trentacinque coltellate al bosco di Ripe di Civitella.
Singolare il comportamento del Parolisi, che mai ha visto il corpo della moglie dopo l’uccisione, né sul luogo del ritrovamento, né in obitorio, né il 30 maggio ha voluto vedere il video mostrato in aula sulla autopsia della giovane. Un militare il quale è stato in missione in Afganistan, tra i tragici eventi della guerra, non ha avuto mai il coraggio di guardare come era stata ridotta la moglie dall’assassino in quel maledetto 18 aprile del 2011. E’ toccato allo zio Gennaro e al fratello di Melania, Michele, assistere e guardare i fotogrammi strazianti del video proiettato in aula, il padre di Melania è stato accompagnato fuori per evitargli quel grande, ennesimo, dolore. E’ opinione di molti, convinti della sua colpevolezza, che il Parolisi ritiene inutile e non ha il coraggio di rivedere ciò che lui stesso ha saputo fare su quel corpo che, un tempo, la moglie gli donava con tutto l’amore che solo una ragazza innamorata può essere capace di fare. Inoltre, è opinione diffusa e ci si chiede, come può scrivere alla figlia di lottare per la moglie e per la figlia stessa.
Quale lotta sta conducendo? Il silenzio e la facoltà di non rispondere, consigliata dai suoi legali, naturalmente, non è certo d’aiuto ad una persona che dice di essere innocente. Chi non ha nulla da temere e vuole che si faccia luce nel torbido tunnel di questo terribile delitto, parla, non abbassa lo sguardo in aula per non guardare gli occhi di chi, al contrario, cerca risposte e le cerca disperatamente. Lui ha adottato l’atteggiamento di chi è in guerra con i parenti della moglie, è contro chi lo ha accolto come un figlio in casa anche dopo l’omicidio, ma forse questo militare ha la memoria corta, e forse non ha mai provato amore e non sa cosa vuol dire la sofferenza di un genitore difronte a questi eventi tragici. Certo, se è lui l’assassino, difficile pretendere valori da chi della amoralità ne ha fatto la sua bandiera e delle bugie la sua verità. E forse è sua convinzione che uccisa la moglie non esistono più parenti e nulla più lo lega a quella famiglia? Si sbaglia, perché i genitori e nonni della piccola Vittoria, il fratello di Melania, gli zii, nel vuoto di questo dolore ci convivono tutti i momenti e la nipotina rappresenta la continuità della vita della loro amata Melania e nessuno può tagliare quel cordone d’amore, neppure chi fa capire che l’essere padre da il diritto di escludere dalla vita della figlia le persone che stanno vivendo per lei. E le offese fatte dal Parolisi alla famiglia di Melania nelle lettere che lui manda fuori dal carcere per essere sempre al centro dell’attenzione dei media, non fanno altro che rendere l’idea di che pasta è fatto.
Non si dimostra d’essere uomini facendo sesso nove volte al giorno, questo ha dichiarato la soldatessa amante del Parolisi, Ludovica Perrone, ma essere uomini lo si dimostra avendo coraggio, anche di pagare le conseguenze delle proprie azioni. Non si può essere coraggiosi solo con le donne quando si tratta di prenderle in giro e ottenere le loro attenzioni barattandole con un voto per far loro continuare la carriera di soldatesse, non c’è coraggio vivere ogni istante delle propria vita riempiendo l’animo di chi ci ama di sporche bugie.
Il coraggio si dimostra guardando negli occhi gli UOMINI che con il loro dolore si recano alle udienze in attesa della VERITA’.
E Melania sapeva ed era venuta a conoscenza di che forza era il marito, forse per questo ha pagato con la vita. Non ha fatto in tempo a parlarne con nessuno, ma quella verità taciuta, probabilmente, l’ha trattenuta in bocca!
Tutti ci auguriamo crolli quel muro di bugie costruito dal Parolisi.
L’obbligo della verità è condizione necessaria affinchè i cuori trovino rassegnazione. Senza la verità si rimane sospesi, non si vive!
M.G.