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Partiamo dalla fine

Da Teatrochepassione
"Le Porte del Silenzio"
(Lucio Fulci, 1991)

Partiamo dalla fine

Fulci, lui, l'uomo. Artista o artigiano. Denigrato o adulato. Sopravvalutato o sottovalutato. Partiamo dalla fine. Dalla sua fine e dal suo ultimo film*. Quello più crepuscolare, che odora ancora di morte e che, in un certo senso è un languido lascito del maestro. Partiamo da "Le porte del silenzio".
La Trama
Melvin Devereux mentre visita la tomba del padre al cimitero, si imbatte in un funerale e viene avvicinato da una bella ragazza. Ella afferma di conoscerlo, eppure Melvin non se ne ricorda.
Quando l'uomo si mette in viaggio per un importante impegno di lavoro, una serie di bizzarri imprevisti ne intralciano il suo percorso, a cominciare dalla costante presenza di un misterioso carro funebre.
Il Commento
Un film anomalo e sfortunato che, per dirla con le stesse parole del produttore Aristide Massaccesi (più noto al vulgo come Joe D'Amato, autore di perle come Antropophagus e Buio Omega) "non ha venduto manco una brochure", non ha mai visto le sale dei cinema (in Italia uscì solo in videocassetta) e in molti altri paesi resta ancora inedito. Eppure sia Fulci e che Massaccesi erano innamorati di questo film ed in effetti, nonostante la sorte avversa (la casa produttrice fallì presto), è un film da (ri)valutare: non solo in quanto ultimo lascito del regista, ma anche perché una delle creazioni più aderenti alla sua concezione del cinema, alla sue credenze e alla sua sensibilità.
Qualcuno si è spinto a definirlo, un po' arditamente, una sorta di "Duel" spielberghiano in chiave metafisica. Il paragone può apparire imprudente ma, a mio modo di vedere, ha ragion d'essere. In entrambi i casi si assiste ad un viaggio on the road nel quale si crea un controverso rapporto di fuga/inseguimento tra il protagonista e una misteriosa autovettura: un tir in "Duel", un carro funebre in "Le porte del silenzio". Tuttavia, per quanto de-facto un roadmovie, non si può semplicisticamente ridurlo a tale. Sebbene con quella confusione registica e quei difetti di sceneggiatura a cui i fan di Fulci sono vaccinati, "Le Porte del Silenzio" trascende la materialità del thriller per sconfinare in quella "twilight zone" di serlinghiana memoria che lo distingue nettamente dal classico di Spielberg e dagli altri epigoni. La fuga si capovolge in inseguimento, assume toni maniacali e ossessionanti, sfocia nell'onirico e si tramuta infine in una metafora sulla consapevolezza della morte.
La conclusione
Opera minore di Lucio Fulci, ma originale e molto personale e che, con tutti i suoi difetti, merita di essere riscoperta e rivalutata.

Douglas Mortimer
*
Secondo IMDb, l'ultimo film diretto da Fulci risulterebbe "Voci dal profondo" (1994): in realtà tale data sembrerebbe essere quella di distribuzione e non quella di produzione (1990). In questo caso l'ultimo film realizzato da Fulci sarebbe pertanto "Le Porte del Silenzio" (1991).

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