Marcello Dudovich
Ci siamo. Indietro non si torna.
Sto imparando che più si parte, più si entra nel vortice delle difficoltà di programmare, preparare, fare liste e spuntarle, scegliere le cose giuste e non dimenticare l'essenziale, valutare ciò che può essere lasciato a dopo e cercare di comprimere l'essenziale.
Come se poi andassi nel deserto del Sahara o in un luogo inospitale e privo di alternative.
o in un luogo che non conosco e che sento ostile.
Tutt'altro!
Eppure c'è lo stress: del cambio di stagione nei lunghi mesi che seguiranno.
Dell'avere a lungo accumulato ritardi e arretrati che aspettano solo di tracimare dalla valigia della mente (e del computer) per riempire ogni piccolo angolo di questa nuova avventura, del mio Shangri-la.
E, più di tutto, c'è lo stress di lasciare indietro una parte di me, tesa verso un'altra parte da recuperare, da far crescere, da gustare, quasi fuori tempo massimo, ma forse proprio per questo da non volersi far sfuggire ancora una volta.
E la rabbia (tanta) delle opportunità dell'oltreoceano che qui non ti dà nessuno.
Anzi: gli ostacoli dell'ultima ora che cercano di schacciare la soddisfazione e il riconoscimento di una grande avventura sudata, voluta, perseguita.
Passare decenni qui, costruire a dispetto di tutti.
Partire è un po' morire?
Mah. Non certo se rimanere vuol dire stare a queste condizioni.
"Morirà" chi resta: per me partire, ancora di più oggi, è un po' rinascere, respirare, sperimentare.
Sai che si merita, questo mastodonte paleolitico che succhia il sangue della nostra storia e della nostra bellezza e la schiaccia sotto il peso della burocrazia?
Un bel "FAN...." (con quello che segue).
E ringrazi il fatto che, nonostante tutto, sono ancora una signora.