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Partire è un po' morire, dicono

Creato il 20 settembre 2011 da Andima
Te lo diceva lo zio della Germania durante le vacanze estive, lui che vive lì da oramai 30 anni e che quando parla italiano ha un accento un po' strano, da straniero, e lo diceva a te oramai da quasi 4 anni fuori tra Irlanda e Belgio, te lo diceva quasi sottovoce, quasi a nasconderlo da altri parenti nei paraggi e lo diceva con voce ferma e decisa aggiungendo che un giorno ti chiameranno egoista, ti diranno che andar via era facile e comodo e che così si lasciano i problemi agli altri, ma tu non dargli retta, continua per la tua strada, la vita è tua e non puoi frenarti solo per la famiglia e tu gli rispondevi con una smorfia, magari annuendo, forse volendo tracannare una birra, un bicchiere di vino o qualsiasi cosa si possa sorseggiare in quei momenti, dal sapore magari forte, come a spegnere qualche voce interna in un sorso, solo che le mani erano vuote e quella scena non era un film. Poi ti sei voltato, con le parole dello zio in testa, ed hai osservato il nonno seduto qualche metro più in là che con gli occhi ti invitava a restare più a lungo, a tornare più spesso o addirittura a rientrare in patria, che poi non significherebbe rientrare a casa, ma spesso ci si attacca ad un'idea più che alla realtà fatta di distanze e le idee, loro, in famiglia legiferano.

Dicono che partire è un po' morire, e te lo dicono con l'aria saggia, come se a ripetere un detto popolare ci si inietti una dose d'autostima ed infatti il problema è proprio quello: la mancanza di controlli antidoping. Ché se partire è un po' morire, si tornerà indietro solo come zombie, pensi, e invece si torna spesso col sorriso, che pure senza vittorie l'estero è comunque un'esperienza che rimane, per capire meglio te e anche da dove vieni (vedi che ne sa dell'Italia chi conosce solo l'Italia?). Ché se partire è un po' morire, allora tu sei morto, quel giorno lì, mentre l'aereo ti portava lontano dicono ci si senta sempre più leggeri una volta seduti, con le valigie al loro posto e le trafile dell'aeroporto già alle spalle, ma soltanto perché le bilance di Ryanair non pesano anche i pensieri, perché altrimenti avresti dovuto lasciare la testa all'imbarco e negoziare le incertezze alla cassa. E se anche fossi morto, quel giorno lì, allora vuol dire che poi sei rinato, altrove, eccome: alla prima nascita abbiamo tutti pianto appena usciti da quel posto lì materno e al contatto col mondo uno schiaffetto del medico ha controllato subito le nostre lacrime; alla seconda nascita, quella altrove, avrai invece urlato, ma di gioia, per quante emozioni t'hanno preso a schiaffi, di nuovo, non sul culetto ma in pieno viso, nel positivo come nel negativo, per controllare subito se eri vivo.

Poi però leggi le ultime righe di Stefano ed eccolo lì, di nuovo e di nuovo, il problema dell'emigrante, perché Stefano aveva iniziato un progetto con il suo blog, quello di raccogliere le esperienze degli altri informatici all'estero ed aiutare gli altri interessati ad aggiungersi alla cerchia degli informatici migratori eppoi all'improvviso qualcosa è cambiato. Non sta a nessuno giudicare quale sia la scelta migliore, visto che ciascuno ha i propri compromessi personali, la propria bilancia su cui pesare i propri umori e risolvere la propria equazione di felicità, ma se andare all'estero non regala quel benessere che si inseguiva, allora partire è sì un po' morire ma a tornare non sarà certo uno zombie, che uno zombie ride poco, ha memoria corta e non insegue un sogno, noi invece siam flessibili e allora ben venga anche il ritorno se ci aiuta a ritrovare il sorriso. E in bocca al lupo Stefano.

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