"CUORE DI CACTUS"
di Antonio Calabrò
adattamento, regia e interpretazione di Fausto Russo Alesi
visto il 18 gennaio 2011
L'inferno dei viventi non è qualcosa che sarà. Se ce n'è uno, è quello che è già qui, l'inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l'inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all'inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio.
(Italo Calvino, "Le città invisibili")
Partire, restare, tornare. Partire, restare, tornare.La Sicilia, Palermo, e il suo mare. E il bisogno di fare il percorso a ritroso nelle proprie origini per verificare, smentire, dimostrare a se stessi e alla propria terra che non si ha tradito, non si è scappati, che quell'inferno non lo si è accettato e si è andati alla ricerca della possibilità di realizzare un futuro.Proprio quel futuro che come forma verbale non esiste nemmeno, nel dialetto siciliano: "La scommessa di un futuro possibile, diverso, migliore, è già una sfida con la propria lingua d'origine".Fausto Russo Alesi si fa moderno Ulisse che intraprende il viaggio nelle proprie origini: non si trattta di rievocazione nostalgica, bensì di trovare nella memoria del passato le ragioni delle condizioni del presente.E' un viaggio che parte dal sentimento della terra Sicilia, anzi dall'essere siciliano. Il fiato che soffia sulle parole che descrivono la natura dei luoghi e delle persone è pieno dell'amore, del desiderio (che nasce da una mancanza) nei confronti della propria terra. E dall'inquietudine che vive nei siciliani d'alto mare, in coloro che sentono il richiamo di partire per mare per ritrovare se stessi, sotto la maledizione di quelli che restano.Nella "notte dei ricordi e dei bilanci" ripercorriamo insieme alle parole del protagonista la sua storia: la famiglia, i luoghi, il rapporto con il proprio mare, e le prime inquietudini, foriere di quella necessità di partire. Come sottofondo, la voce del pianoforte che dialoga con il testo.Prima di maturare il momento della partenza il rapporto con Palermo e la Sicilia vive intrecciandosi con la storia sociale, politica, culturale di quegli anni. Gli inizi come cronista a L'Ora, il giornale in cui tanti giovani hanno riversato gli entusiasmi di rinnovamento, e gli insegnamenti del maestro Vittorio Nisticò; le note jazz del pianoforte danno voce ai lustri degli anni Settanta, con una vitalità culturale votata alla sperimentazione artistica, per poi farsi greve nel descrivere il deperimento che ha cancellato le glorie degli antenati. E poi la "mattanza": il sangue, la violenza, le atrocità che la mafia ha messo davanti agli occhi dei palermitani. Il fallimento di quel tentativo di cambiare il mondo, l'omicidio del comissario antimafia Ninni Cassarà, e la determinazione a partire. Non il tradimento della propria terra, ma la stanchezza di dover piangere sul sangue dei troppi amici uccisi.I moti interiori di Calabrò trovano interprete ideale in Fausto Russo Alesi, non solo per l'assonanza tra le loro storie personali, ma anche per la triste coincidenza delle loro partenze: Calabrò all'indomani dell'uccisione di Cassarà, Russo Alesi di quella di Falcone. E' interprete ideale in virtù della materia attoriale di cui è fatto il suo stare in scena: pochi attori sanno investire ogni parola, ogni gesto, ogni oggetto di senso, di contenuto, di evocazioni con la verità di Russo Alesi. Il testo diventa una partitura in cui l'attore trova la ritmica, l'andamento, le variazioni della metrica. Questo è uno spettacolo che trova sostanza nei cambi di ritmo e nella chiara distinzione delle zone della scena che rappresentano i diversi luoghi: se il proscenio, separato da un cancello, è il luogo dell'oggi, quando il cancello si apre il resto della scena diventa il luogo del ricordo, "dell'anima".La regia, firmata dallo stesso Russo Alesi, rispecchia la medesima sensibilità dell'interprete: le luci disegnano atmosfere, permeano la scena di suggestioni, i semplici oggetti di scena (una sedia, una macchina da scrivere, copie de L'Ora sparse per terra, il pianoforte) nelle mani di Russo Alesi diventano simbolo, e l'attore gioca con essi, inventa simboli fino alla suggestione dell'immagine finale (la luce del faro e il canto dei gabbiani).
"Palermo è stata ed è l'inferno. Ma proprio per questo di questo inferno bisogna provare ad avere ragione. Senza piangersi addosso. Ali d'aquila. E pretendere di volare".