Una volta viveva, nel bel mezzo di una città, una gentile signora. Immersa nell’incantevole natura del suo giardino, accoglieva erranti vagabondi offrendo loro vitto, alloggio e un po’ di serenità. I viandanti, ristorati e appagati, finivano per innamorarsi della quiete di quel luogo e una volta finito il soggiorno tornavano in viaggio spargendo la voce di tanta bellezza. Così, la gentile signora, aveva allargato la sua casa per accogliere quelli che per un periodo di tempo volevano godere di quell’atmosfera, fermandosi un po’.
Le persone si chiedevano come facesse a mantenere una vita così equilibrata. In effetti non l’avevano mai vista scontrosa, mai troppo agitata, ma sempre decisa e attenta. Alle tante domande la signora sorrideva, li guardava negli occhi e poi andava via, lasciandoli nel dubbio.
Si da il caso che questa signora fosse anche un’abile giocatrice di scacchi. Ogni sera, finita la cena, per chi voleva rimanere in casa, la signora organizzava intriganti partite che potevano durare dei giorni.
Quando iniziava una nuova partita, questa veniva annunciata a tutta la comunità, veniva presentato lo sfidante e poteva capitare che durante la giornata, anche passando di sfuggita, fosse possibile muovere le pedine per mandarla avanti. Insomma una cosa seria!
Quindi, la routine quotidiana prevedeva lo svolgersi delle normali attività: preparazione dei pasti, la spesa, la sistemazione della casa e del giardino dove ognuno si sentiva di voler contribuire, prendendosi uno spazio di responsabilità e lasciando la propria impronta. Verso sera vi era modo di ritagliarsi il proprio tempo per leggere, ascoltare musica e discutere di attualità.
Ma dopo cena l’atmosfera mutava. Gli avversari, che poco prima avevano riso e scherzato davanti un lauto pasto, ora entravano nella dimensione competitiva, assorti nella loro concentrazione. La signora era così abile che poche volte non le era riuscita la vincita. Le bastava guardare in viso l’avversario e come d’un tratto era come se potesse leggergli nel cuore. E fu così che i suoi avversari divennero i suoi allievi.
Un giorno, si sparse la voce che uno di loro, andava dicendo che se avesse gareggiato, sarebbe stato certamente più abile della sua maestra in quanto aveva capito i suoi trucchi, ormai obsoleti e lontani dalle nuove tecnologie. La sfida fu colta dalla signora con la solita leggerezza che la caratterizzava, ma fu accolta anche da coloro che, curiosi di tanta audacia, si prospettavano emozionanti mosse.
Iniziata la partita, il pubblico notò l’elegante leggerezza e l’essenzialità delle manovre della signora. Ogni movimento nasceva da assenza di sforzo, né tensione, ma consolidata maestria. Il giovane rispondeva altrettanto efficace, con tecnica e calcolo davvero superbi. Chi osservava poteva cogliere però in lui uno sforzo dovuto alla ricerca della mossa giusta, una certa “ansia da prestazione” nel voler dimostrare di essere in grado.
La partita andò avanti per ore. Ad un tratto, la signora, guardò negli occhi il giovane sfidante e, con una luce particolare lo sorprese con una mossa che le fece vincere la partita. Il giovane rimase sbigottito davanti agli occhi di tutti gli spettatori e le disse: - Non mi avevi mai mostrato questa mossa.
E la signora rispose: - Non avrei potuto. L’ho imparata adesso, grazie alla tua abilità. Ricorda queste mie parole, non è mai finito il tempo dell’apprendimento e l’unico obbligo di un allievo è, ad un certo punto, è di tradire il suo maestro!
...e come ci insegna il pensiero della Gestalt:
Io faccio la mia cosa, e tu fai la tua. Non sono in questo mondo per esaudire le tue aspettative come tu non sei in questo mondo per esaudire le mie. Tu sei tu, e io sono io, e se per caso ci incontriamo, sarà bellissimo, altrimenti non ci sarà nulla da fare.
Con gioia
Anna