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Pensare creativo: una questione di allenamento?

Da Marta De Cristan

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“La creatività è senza dubbio la risorsa umana più importante. Senza creatività non ci sarebbe progresso e ripeteremmo sempre gli stessi schemi”.

(Edward De Bono)

La creatività potrebbe essere definita come la messa in atto di una serie di processi mentali per rispondere a nuovi accadimenti con soluzioni nuove, flessibili e appropriate. Pensare in maniera creativa diventa importante perché libera dagli schemi mentali già conosciuti e permette di apprenderne sempre di nuovi al fine di utilizzarli all’occorrenza.

Ogni persona è dotata di capacità creativa, e come ogni capacità può essere migliorata, sviluppata e potenziata.

Se c’è qualcosa che già esiste, qualcosa che già è stato descritto, si tratta di utilizzarlo in modo innovativo, di individuarvi degli elementi che vanno al di là delle sue apparenze o significati immediati. Creare, giocare, innovare, dar corpo a una propria idea, tutto questo non ci rimanda quindi soltanto ad una visione prettamente operazionale del cervello e dell’intelligenza, ma ad un’ottica più generale, in cui la mente prende forma a partire da un complesso gioco tra visioni del mondo, emozioni e desideri.

Ma dove risiede la creatività?

I due emisferi, normalmente, elaborano le informazioni in maniera indipendente e, tuttavia, funzionano in modo complementare. Sono specializzati, ma condividono ed integrano le informazioni, comunicando attraverso un grande fascio di fibre nervose, il “corpo calloso”.

Roger Sperry, premio Nobel per i suoi studi sulla specializzazione emisferica, esaminando i comportamenti di chi aveva i due emisferi separati, ha scoperto che ogni lato del cervello non solo è deputato a funzioni diverse, ma è altamente specializzato ed ha anche una propria coscienza.

L’emisfero sinistro è logico, concreto, razionale, affronta una cosa alla volta ed elabora le informazioni in maniera lineare, compie le operazioni in modo sequenziale, è l’emisfero del linguaggio, del calcolo matematico, della classificazione e del ragionamento, usa vecchie soluzioni anche a nuovi problemi.

L’emisfero destro è istintivo, spirituale e mistico, integra diversi input contemporaneamente e percepisce e pensa in modo olistico, è l’emisfero del disegno, della musica e delle arti, della percezione e della sintesi, usa nuove soluzioni a vecchi problemi.

A seconda del lavoro che facciamo, sviluppiamo più un emisfero piuttosto che l’altro: chi è abituato ad usare molte parole e numeri (scrittori, matematici) sviluppa maggiormente l’emisfero sinistro; mentre artisti, artigiani o musicisti, più abituati a lavorare con immagini e intuizione sviluppano maggiormente l’emisfero destro.

E il creativo quale emisfero usa di più?

In realtà entrambi. Usa l’emisfero sinistro per raccogliere le informazioni ed analizzarle e il destro per far fluire le idee, incubare le informazioni, far partire libere associazioni e sviluppare intuizioni. Poi di nuovo il sinistro per valutare le possibili soluzioni ed attuarle.

La creatività insomma nasce dalla collaborazione efficace dei due emisferi.

Studi recenti hanno anche scoperto, poi, che nei bambini ad alto potenziale creativo la connettività tra gli emisferi gioca un ruolo fondamentale. Durante la risoluzione dei problemi, infatti, tutti e due gli emisferi di questi bambini risultano attivati, mentre i bambini “normali” presentano un’asimmetria in favore dell’emisfero sinistro. I bambini geniali, insomma, hanno gli emisferi che dialogano con maggiore efficacia e sono entrambi coinvolti: essi riescono a produrre un quantità molto elevata di idee o ipotesi a partire da qualsiasi stimolo proposto ed alternano con facilità le soluzioni proposte.

Queste capacità sono associate anche ad una grande attitudine alla ricerca e alla selezione di informazioni immagazzinate nella memoria a lungo termine, così come a una buona capacità di associazione e combinazione di idee (M. Besancon, “Le chiavi della creatività” Mente e Cervello, novembre 2011).

Siamo più logici o istintuali?

Per scoprirlo si può usare il test dell’illusione ottica Silhouette Illusion creata da Nobuyuki Kayahara nel 2003, l’illusione ricorda una ballerina piroettante. Alcuni la vedranno girare in senso antiorario, altri in senso orario ed alcuni potranno vedere la ballerina cambiare senso di rotazione. L’illusione è dovuta alla mancanza di segnali visivi che diano un senso di profondità. Basta guardare l’immagine per qualche secondo. Se la ballerina comincia a girare in senso orario prevale l’emisfero sinistro dove risiede la parte logica, se la ballerina comincia a girare in senso antiorario prevale l’emisfero destro dove risiede la parte più istintuale. Nel primo caso se si vuol vedere un cambio di rotazione bisogna lasciarsi andare all’immaginazione e alle sensazioni. Nel secondo caso per veder girare la ballerina in senso orario bisogna provare a concentrarsi di più sui dettagli della figura.

La descrizione più nota del processo creativo è quella per fasi successive proposta dallo psicologo ed educatore inglese Graham Wallas insieme a Richard Smith (The art of thought, 1926). Le fasi sono cinque, ma nella maggior parte delle pubblicazioni vengono ricondotte a quattro:

  1. Preparazione: in questa fase si raccolgono e organizzano materiali e informazioni su cui lavorare con atteggiamento metodico e sistematico. A volte un’indagine viene messa in moto da un colpo di fortuna. Per esempio, A.H. Becquerel ha scoperto la radioattività accorgendosi che un composto a base di uranio aveva impressionato una lastra fotografica coperta sul quale l’aveva poggiato. Ma comunque stava lavorando con l’uranio, comunque aveva lastre fotografiche in laboratorio, e soprattutto aveva conoscenze sufficienti a riconoscere come rilevante un fenomeno prodotto in modo casuale.
  2. Incubazione: si attua l’elaborazione mentale dei materiali disponibili, alla ricerca di un ordine che produca un nuovo senso. È un processo che si sviluppa per prove ed errori, per flussi di pensiero apparentemente disordinati, altalenanti, che continua anche in momenti nei quali l’attenzione cosciente è sospesa. Anche nel sonno, per esempio Descartes dice di essersi imbattuto per la prima volta nelle nozioni fondamentali della geometria analitica durante due sogni.
  3. Illuminazione o insight: è l’intuizione, spesso istantanea, dell’esistenza di una soluzione inaspettata e differente da tutto quanto si era ipotizzato in precedenza. Sembra presentarsi in modo spontaneo e inatteso producendo una forte attivazione emozionale. Il fatto che una soluzione si presenti all’improvviso è piuttosto sorprendente anche per chi lo sperimenta. Henri Poincaré racconta di aver risolto un complesso problema matematico mentre stava salendo su un autobus e non ci stava pensando.
  4. Verifiche: si prova, si mette a punto e formalizza la soluzione. Il metodo scientifico prevede che una scoperta venga presentata attraverso un’argomentazione formale, partendo da una serie di assiomi o principi fondamentali.

La fase mancante, che Wallas chiama intimation e che viene prevalentemente presentata come una sub-fase, è la sensazione di essere sulla strada giusta, accompagnata da una eccitazione crescente, che a volte precede l’insight.

Altri autori immaginano sequenze diverse.

Uno schema molto antecedente, proposto dal filosofo americano John Dewey, (Come pensiamo, 1910) suddivide il processo in cinque stadi: sensazione di una difficoltà, individuazione e definizione del problema, proposta di possibili soluzioni, esame delle soluzioni, verifica delle soluzioni con prove sperimentali.
Nel 1931 Rossmann parla di sette stadi: osservazione di un bisogno, analisi del bisogno, rassegna delle informazioni disponibili, formulazione delle soluzioni probabili, analisi critica, invenzione vera e propria, sperimentazione.
Eindhoven e Vinacke (1952) trovano necessario introdurre fasi diverse per descrivere accuratamente l’attività degli artisti e le differenze tra soggetti esperti e non esperti.
Osborn (1953) torna al numero sette, individuando: orientamento, preparazione, analisi, ideazione, incubazione, nuova sintesi, valutazione.
Johnson (1955) dice che è meglio ridurre tutto a tre fasi fondamentali: preparazione, produzione e giudizio.

L’insight, comunque lo si definisca, resta una faccenda piuttosto misteriosa. Nessuno di questi modelli riesce a dare pienamente conto del fatto che all’interno del processo alcune fasi possano sovrapporsi (per esempio, l’individuazione del problema e la raccolta di informazioni. Oppure la raccolta di informazioni e l’incubazione), e del fatto che la sovrapposizione possa dipendere sia dalla natura del problema che dallo stile personale o dal carattere di chi lo affronta.

Secondo lo psicologo cognitivo Anthony McCaffrey della University of Massachusetts Amherst, tutti, prima o poi, hanno il portentoso momento di creatività. La Obscure Features Hypothesis (OFH) di McCaffrey ipotizza che non esistono cervelli poco creativi ma solopoco allenati ed è possibile, con esercizi ad hoc e sviluppando alcune tecniche, arginare e superare gli ostacoli che impediscono alla mente di produrre idee innovative.

Le conclusioni dello studio del Center for e-Design delle università di Amherst e Virginia Tech, pubblicate su Psychological Science, sono state raccolte analizzando un centinaio di invenzioni recenti e un migliaio di quelle storiche, cercando di capire in che modo, di volta in volta, gli inventori hanno arginato gli ostacoli che impedivano di raggiungere la meta. Quasi tutte le invenzioni più geniali derivano da due passaggi fondamentali: la rilevazione di un fenomeno oscuro e inaspettato e la messa in pratica di una soluzione al conseguente problema.

Secondo McCaffrey tutto dipende insomma dal vecchio teorema secondo cui la necessità aguzza l’ingegno!

Secondo Stefano Bartezzaghi (L’elmo di Don Chisciotte – Contro la mitologia della creatività, 2009) il termine creatività oggi viene usato in modo equivoco, evocando la creazione di qualcosa di nuovo, mentre essa consiste nell’assemblaggio di realtà che già esistono. E’ impossibile creare cose che vengono dal nulla.

La creatività è la capacità di saper reinterpretare la realtà e adattarla alle necessità.

Superando quella “fissità funzionale” che sta lì proprio per metterci alla prova e spronarci ad accendere la lampadina che tutti abbiamo nascosta nel cervello.

Ma come si possono allenare gli emisferi?

E’ solo imparando ad usare tanto l’emisfero destro che quello sinistro, che potremo arrivare a sfruttare il nostro potenziale mentale (ben oltre il mitologico 10%!) e la creatività è una delle facoltà che possiamo migliorare moltissimo con la pratica. Quindi l’allenamento dovrà riguardare l’emisfero non dominante:

  • per sviluppare il destro: prendere appunti usando penne e matite colorate, danzare spontaneamente, prendere lezioni di canto, seguire un corso per imparare a raccontare storie, andare al cinema, leggere romanzi, trovare un modo di passare del tempo con i bambini, disegnare e dipingere, far volare un aquilone.
  • per stimolare il sinistro: iniziare una collezione, tenere un registro delle spese dettagliato o un diario delle attività, leggere libri o romanzi di storia, imparare a giocare a scacchi, imparare una lingua straniera, organizzare e ordinare i conti e la corrispondenza, scrivere e archiviare tutte le idee.

E cosa possiamo fare se c’è un momento di empasse?

Ognuno dei due emisferi è collegato alla parte opposta del corpo, se si è impantanati in un problema per il quale non riusciamo a trova una soluzione si può cercare di attivare la connessione dei due emisferi utilizzando la parte del corpo che usiamo di meno. Lo possiamo fare cercando di scrivere o manipolare un piccolo oggetto con la mano che utilizziamo di meno. I movimenti muscolari inusuali sollecitano impulsi elettrici e chimici nell’emisfero non dominante e creano nuove interconnessioni, nuove prospettive e nuove idee.

Autore: Dott.ssa Susanna Casubolo
Psicologa
Redattrice di psicologiaok.com


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