Il Club delle Mamme Marchigiane continua a pubblicare i racconti delle mamme, che vogliono parlare di una loro scelta, di un loro stile di vita o altro, da condividere con i lettori del sito. Ad esempio la scelta di un particolare tipo di scuola o di educazione, un problema che si è riscontrato, una situazione lavorativa, una protesta, un ricordo, un ringraziamento o altro, tutto quello che ruota attorno alla vita di una mamma della nostra provincia o regione.
Tutte le storie di questo tipo fanno parte della rubrica “Storie di Mamme“.
Chiunque volesse raccontare qualcosa, può scrivere all’indirizzo [email protected]
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Oggi a parlare è una mamma residente a Macerata, che ha deciso di partorire a casa il suo primo figlio. Ecco la sua esperienza:
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Perché la scelta di partorire in casa?Negli anni in cui con il mio marito avevamo deciso che eravamo pronti ad avere un bambino ed aprimmo il cantiere, mi capitò di fare un viaggio di lavoro nei Paesi Bassi e scoprii allora che lì avevano il tasso di mortalità dei neonati e delle partorienti più basso al mondo in assoluto da anni e il motivo era che i parti fisiologici non hanno mai smesso ad essere svolti a casa (dunque non era questione di fortuna il buon esito del parto in casa, ma pura statistica e scienza esatta). I miei interlocutori, una coppia di professori universitari stimati al livello internazionale, hanno avuto i loro figli così, a casa, e decisamente non li consideravo delle persone sprovvedute, fricchettoni, modaioli o irresponsabili. Anzi. Questo fatto mi fece riflettere, mi aprì una finestra sul mondo e fece si che incominciai ad approfondire la materia, ad informarmi il più possibile sul parto e tutto ciò legato ad esso. In sintesi, scoprì che il parto come lo conosciamo oggi è un’invenzione recente: la posizione scomoda ed errata di donna in posizione sdraiata deriva dai tempi di Luigi XIV, se non erro, un re guardone al cui piaceva spiare come partorivano le sue amanti e per assicurargli la visuale migliore le poverine dalla naturale posizione accovacciata che seguiva la forza di gravità (per illustrarvi il concetto provate ad immaginare di fare la popò nella posizione sdraiata)dovettero partorire sdraiate con le gambe al aria per la comodità del medico al servizio del re. E così comincio a divulgarsi la moda. Il passo successivo arrivò dopo la seconda guerra mondiale con la eccessiva medicalizzazione ed ospedalizzazione del parto, dimenticandosi pian piano che il parto non è una malattia. Da lì anche la moda di diverse pratiche oggi considerate estremamente pericolose, dannose e sbagliate anche se ancora quotidianamente praticate. Ma purtroppo il danno e stato fatto e la gente ha la tendenza di delegare la responsabilità fidandosi ciecamente di altri invece di informarsi per poter scegliere, riflettere ed ascoltare il proprio buon senso. Ci si informa per bene quando si sceglie una nuova macchina o la cucina ma non altrettanto quando si tratta del nostro corpo,salute e la vita di nostri figli. La cosa più importante però che scoprii è che partorendo a casa si possono assicurare al bambino, alla mamma, e al papà il meglio in tutti i sensi possibili ed immaginabili: al bambino si assicurano gli benefici della nascita non violenta (di cui primo noto teorico fù Leboyer) che gli darà delle buone basi per il resto della vita (scientificamente è provato che i bambini ricordano la nascita, e non a caso il detto popolare dice che il buongiorno si vede dal mattino), l’unità della famiglia da subito, in tre e alla pari, senza escludere il povero papà come si fa negli ospedali (e così si evitano tanti problemi psicologici che sottilmente sorgono in tante coppie) e non si rischiano né le famigerate infezioni intraospedali né danni/errori dovute al fatto che negli ospedali pubblici purtroppo non si guarda l’individuo ma al primo posto vengono gli protocolli ospedalieri ed altro ancora. A causa di questi ultimi tante mamme diventano non le protagoniste di una cosa meravigliosa ma delle povere vittime di abusi, negligenze, incompetenze ecc. Un esempio tra tutti sono le lacerazioni che si potevano evitare e che possono diventare un problema per il resto della vita di una donna. Per non parlare di innumerevoli tagli cesarei di cui si poteva fare a meno.
Dulcis in fundo, siccome il parto in casa è regolamentato per legge e nella regione Marche esiste in tal senso una bella legge regionale, quale altra prova dovevo avere che si tratta di una cosa sicura e normale, e non orba e da ciarlatani?
Devo ammettere che son una fifona – io avevo troppa paura per partorire in ospedale (siamo tutte diverse e ad ogni donna va il suo tipo e luogo di parto, non tutto è per tutti). La mia paura e decisione maturò con la gravidanza ed episodi personali di mala sanità, di incompetenza dei medici della mutua con i quali sono arrivata in contatto. La goccia che fece traboccare il vaso fu la lista delle cose necessarie da portare nella valigia in ospedale: mi si chiedeva di portare dei copriwater usa e getta e dei detersivi per lavare i sanitari – io mi blocco e non riesco ad andare in bagno durante i viaggi e nelle case degli altri, figurati che blocco psicologico mi sarebbe arrivato in ospedale in un momento di tale delicatezza dove avrei dovuto pensare io se il bagno era pulito! E’ risaputo che tante donne che avevano la dilatazione e travaglio da manuale nel momento in cui arrivavano in ospedale, a causa dell’ambiente non famigliare, austero, freddo ed in condivisione con degli estranei, sia che si tratti dei compagni di stanza e i loro famigliari, sia che si tratti del personale sanitario soggetto ai turni, sott’organico e sottopagati, inconsciamente si bloccavano e la dilatazione si arrestava.
Così si convinsero anche mio marito e i famigliari. E’ di fondamentale importanza che entrambi i partner siano d’accordo con la modalità del parto. Se le cose non sono lisce, è facile che fioriscano dei problemi nel momento così delicato quale il parto che mette a nudo la nostra natura, la nostra psiche.
Quando arrivò il momento opportuno abbiamo scelto le nostre ostetriche. Non c’è proprio il paragone con niente e nessuno per quanto riguarda il livello di assistenza che abbiamo ricevuto: le ostetriche dopo la 32. settimana di gravidanza cominciarono a venire tutte le settimane a casa per tenerci il corso personalizzato e naturalmente a conoscerci e prepararci al meglio per il lieto evento. Oltre a questo, la reperibilità e il parto stesso, nel pacchetto erano incluse anche le visite per il dopo parto in modo tale che tutto prosegua al meglio, che mamma e figlio siano avviati bene con l’allattamento ecc. Per loro tu sei la priorità assoluta, non esistono le distrazioni, altri casi, cambi turno, sono sempre lì con te e per te a guidarti, aiutare sia a te che ai tuoi famigliari.
Oltre alle ostetriche, a casa nostra erano presenti anche l’osteopata (in Francia fanno parte del sistema sanitario nazionale e fanno parte del team che compone il personale di una sala parto) e la sorella di mio marito che si occupò di tutte le faccende di casa. Ho preferito seguire il saggio consiglio di tenere lontane la madre e la suocera e così nessuno mi fece irritare o arrabbiare. Dopo il parto, le ostetriche fecero da scudo in modo tale che la piccola nuova famiglia poteva avere un po’ di tempo per il rodaggio, conoscersi e godere il momento di intimità speciale, oltre che riposare il più possibile dopo uno sforzo tale qual è il parto. Noi tre ci siamo sistemati sul nostro lettone e tutto il resto è arrivato da noi, a domicilio: visita pediatrica, screening delle malattie del sangue, controlli. Le visite della gente cominciarono più meno dopo 3 giorni.
Tanti mi chiedono se ho avuto mai paura che potesse succedere qualcosa, durante il travaglio e dopo il parto, per cui fosse necessario un intervento tempestivo dei medici.
Innanzitutto sapevo che le ostetriche, arrivando, avevano allertato il 118 e l’ospedale che era al corrente di tutto ciò che accadeva ed erano pronti (è una prassi standard dei parti in casa). Ci fosse stato bisogno, sarei stata lì in un attimo (abito a meno di 3km dal ospedale), lo stesso dei tempi tecnici dell’ ospedale e così non c’era alcuna differenza in questo senso. In più, quando c’è qualcosa che non va sono le cose che si possono/potevano prevedere prima e noi abbiamo escluso tutte le eventualità. Le complicazioni che accadono di solito non hanno una spiegazione, in apparenza – in verità c’è l’hanno – sono di natura psicosomatica e allora è completamente fuori luogo dire “Meno male che ha partorito in ospedale, pensa se non era in ospedale”. Io provocatoriamente rigiro le parole e dico “Pensa se era a casa, la cosa magari non sarebbe accaduta”. Qualcuno mi chiedeva e se il cordone ombelicale fosse intorno al collo del bambino,beh, il cordone non necessita di nessun intervento tempestivo che non possa venire praticato anche fuori dalle mura ospedaliere.
Ma veniamo alla giornata del parto. Il mio ragazzo,come tanti primi figli, si fece attendere per oltre 5 giorni dopo il termine. Le acque si ruppero alle 3 del mattino e per tutto il giorno fino alle ore 18 non accadde nulla e io mi comportai normalmente. Ho bevuto e mangiato, tra l’altro, tutto ciò che volevo. Verso sera cominciarono le prime contrazioni e allora mi tratto l’osteopata per assicurarsi che il canale del parto fosse libero e il bimbo ben posizionato. Mio marito accese le candele in giro per la camera da letto per creare l’atmosfera e mise sul portatile la mia musica classica preferita come sottofondo. Riuscì benissimo a rendere l’ambiente accogliente, addirittura romantico. Lui, mia cognata e l’osteopata si premurarono di massaggiarmi la zona lombare in continuazione, a leggermi le favole e a fare con me gli esercizi di respirazione. Secondo gli accordi presi in precedenza le ostetriche sono arrivate quando le contrazioni erano a meno di 5 minuti l’una dall’altra. Ciò accade verso mezzanotte e portarono con sé una scia di allegria e freschezza. Il bambino ha visto la luce del giorno nel momento in cui sorgeva l’alba (se fossi stata in ospedale sarebbe stato probabile subire un parto cesareo, a causa del fatto che in ospedale calcolano che la dilatazione da quando si rompono le acque dovrebbe essere un centimetro ogni ora per arrivare a 10 centimetri e dunque dieci ore di tempo con qualche margine) e io ai piedi del letto aggrappata al mio marito riuscivo ad ammirarla dalla porta finestra aperta da dove arrivava un appropriato venticello visto che era l’estate. Io non ho avuto un punto e il bambino ha avuto l’Apgar 10. L’emozione era indescrivibile. Abbiamo lasciato pulsare il cordone ombelicale (siamo molto dispiaciuti che non si possa donare il sangue del cordone ombelicale in un parto in casa) e l’ha tagliato mio marito solo nel momento in cui ha smesso di pulsare e dunque ha dato e trasmesso a nostro figlio il massimo che poteva fare (perciò anche niente paura che non avesse avuto abbastanza ossigeno in quanto aveva due vie da dove gli arrivava). Con altrettanta molta calma mio marito, sempre con l’aiuto dell’ostetrica, ha anche lavato il nostro figlio mentre l’altra ostetrica si occupava di me. Per quanto riguarda la placenta io ero propensa per un lotus birth ma mio marito non altrettanto, e allora siamo scesi al compromesso, e da un pezzetto di placenta abbiamo fatto il rimedio unico, omeopatico, per il bambino, e il resto della placenta i nonni l’hanno sepolto nel giardino e sopra piantato un albero per nostro figlio.
Era un’esperienza talmente positiva e speciale che il giorno stesso ero pronta ad avere un altro figlio, nel senso che non avevo un minimo di trauma da cui riprendermi dopo il parto. Un parto e una nascita del genere li auguro di tutto il cuore ad ogni mamma, papà e bambino.
Mamma Andriana, Macerata
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Vedi anche:
Provincia di Ancona: http://www.mammemarchigiane.it/2013/10/18/parto-in-casa-unaltra-mamma-racconta/
Provincia di Ascoli Piceno: http://www.mammemarchigiane.it/2013/07/25/ho-scelto-di-partorire-a-casa-valentina-di-ascoli-piceno-racconta/