Magazine Per Lei
#partodaqui e di come è vero, a volte non si ricorda il dolore.
Creato il 05 marzo 2014 da Verdeacqua @verde_acquaEra il 24 aprile di cinque anni fa.
Era venuta a trovarci mia madre, mancavano ancora tre settimane alla data presunta e lei si era fatta 400 km per aiutarmi a fare la famigerata valigia per l'ospedale. Era il classico aiuto non richiesto a cui lei però non sa resistere. Doveva metterci il becco, con quella discrezione forzata che la caratterizza.
E un pò le sono grata perchè in effetti io non me ne ero ancora presa la briga.
Le mamme servono a qualcosa, l'ho capito 48 ore dopo.
Così quel venerdì mi ha fatta camminare su e giù per Padova alla ricerca di tutte le ultime cose, assolutamente inutili, a suo avviso indispensabili, nemmeno stessi partendo per un anno.
Io ero esausta.
La sera, tanto per avere un accenno di quello che sarebbero stati i nostri venerdì sera da lì a poco, mi sono appisolata in divano alle otto e mezza. Poi abbiamo guardato tutti insieme appassionatamente un film: "Un giorno perfetto". Non proprio un film per una che sta per diventare mamma.
Comunque. Finito il film tutti a nanna. E così io sto leggendo a letto e di colpo splash. Sono in un lago. Non capisco, non connetto. Poi ah sì, mi si sono rotte le acque. Ma così, senza dolori, senza nulla?
Lui è già pronto. Mi è bastato dirgli ok, mi sa che dobbiamo andare, che si è vestito in un secondo e aveva già le chiavi della macchina in mano. Non era agitato, no no.
Io mi faccio una doccia e comincio a realizzare. Mi tremano le gambe. Come non mai. Oddio.
E cerco di non guardare quelle gambe. Quelle che avevano un appuntamento con l'estetista la settimana successiva. Bene, oltre ad essere impanicata sono pure pelosa. E le mie gambe le avrebbero viste in molti di lì a poco. Amen. Caspita, ma continuo a perdere acqua.
O porca miseria, ma allora è arrivato questo benedetto momento. Ma allora prima o poi arriva per davvero. Non sarei rimasta una balena per sempre.
Busso a mia madre che dorme nell'altra stanza. Ciao eh, io vado a partorire.
In confronto alla sua agitazione io sembravo al mio ottavo parto, tranquilla e serena.
Saliamo in macchina, io con le gambe che tremano e Lui con lo sguardo fisso e la voce tremante tutto bene? ripetuto ad ogni dosso, e via verso l'ospedale.
Era circa mezzanotte e io non sentivo nulla. Avevo solo tanto sonno.
Mi visitano e mi mettono una flebo. Nessun segno che quel coso voglia uscire. Però se non si decide lui entro 24 ore dalla rottura delle acque si deve indurre il tutto. Che bello.
Mi portano in una camera piena di neonati urlanti, mamme doloranti e lui deve andarsene.
Ovviamente non ho chiuso occhio. Davanti a me tutti i racconti splatter che avevo evitato alla grande nel corso degli ultimi mesi, e pure belli freschi. Quella nel letto di fianco aveva avuto otto punti di sutura e non riusciva a stare nè sdraiata, nè seduta, nè in piedi. L'altra aveva le contrazioni da circa tre giorni, un'altra ancora aveva due seni doloranti che la facevano urlare e l'ultima piangeva ogni volta che provava a fare la pipì. Facile prendere sonno.
Il giorno dopo continuavo a stare bene. E cominciavo anche a illudermi che forse lo sarei stata sempre. Magari sarei stata la prima al mondo a partorire senza soffrire. In realtà cominciavo a scoprire che la mancanza di sonno può farmi impazzire e che la paura fa brutti scherzi.
Mi sono venuti a trovare tutti, Lui era lì e dirigeva il traffico, mia madre ovviamente anche, e la lista di donne distrutte che tornava dalla sala parto si allungava. Ora di cena ancora nulla. Nè sonno, che poi è facile dormire quando tutto il mondo intorno a te ti dice dormi che ne avrai bisogno, nè contrazioni.
Alle undici si dà inizio alle danze. Un pò di ossitocina e tutto parte. Che bello.
E da qui comincia il mio vuoto.
Sì, ricordo pochissimo.
Mi rivedo ciondolante per i corridoi. Mi rivedo quando mi portano in sala parto.
Mi rivedo lì, ricordo quel poster con la spiaggia caraibica di fronte a me.
No l'epidurale non si può fare, l'anestesista è impegnato, questo sì, me lo ricordo.
Ricordo che le sentivo arrivare, ricordo che ero coccolata, ricordo a malapena la faccia bianca cadaverica di Lui.
Ricordo che mi hanno fatto i complimenti perchè si vedeva che avevo fatto il corso preparto. Ricordo che del corso non mi ricordavo nulla.
Lui racconta che chiedevo scusa. Sì, scusate se urlo. Questo io non lo ricordo. Io che credevo che avrei insultato tutti quando sarebbe arrivato il momento.
Ricordo che avevo tanto sonno.
Ricordo che mi ero detta mai più.
Ma non ricordo l'ordine dei ricordi, non ricordo la faccia dell'ostetrica, non ricordo quanto facesse male.
Sì faceva tanto male, ma proprio non ricordo il dolore.
Ricordo solo una cosa con precisione. Quando l'ho sentito. Quando è sgattaiolato fuori e sono tornata ad essere solo più io nel mio corpo. Questo no, non si può dimenticare.
E poi ricordo che me lo hanno messo lì, sulla pancia, tutto sporco e raggrinzito, giusto pochi secondi e poi via. E Lui che mi ha abbandonata. Per andare da quel piccoletto lì. E io che ho solo pensato è fatta.
E poi me lo hanno riportato, sempre raggrinzito ma profumato, con quella tutina morbida che ho distrutto al primo lavaggio.
Io avevo ancora addosso la stessa camicia da notte sporca di lui. Piena del nostro ultimo essere una cosa sola.
Volevo solo addormentarmi lì con lui. E così è stato per dieci minuti.
E tutto ha avuto inizio.
Ci abbiamo messo un pò a ingranare, siamo dei diesel noi, ma si sa, il bello è viaggiare, non arrivare.
con questo post partecipo all'iniziativa di Gab, Mamma Piky e Francy #partodaqui
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