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Pasca manna – Spoon River d’Ogliastra 5

Creato il 08 aprile 2012 da Rosebudgiornalismo @RosebudGiornali

Pasca manna – Spoon River d’Ogliastra 5di Rina Brundu. Che Pasca manna aveva… un senso. Una sua storia. E le storie la nonna le raccontava tutte con la stessa impassibilità di sempre, sia quando si trattava di leggende fantastiche sia quando si risolvevano in brandelli di ricordi fatti grandi dal tempo trascorso. E dalla miseria del quotidiano che anelava, di suo, ad infiocchettarsi per la festa.

Don Vinante, di converso, era categorico: sacrificio, sacrificio in quaresima, pianti sentiti il giorno della Domenica delle Palme e gioia sbandierata al vento la mattina di Pasqua. Vita, morte e risurrezione, da lì non si sgarrava e non si poteva fare altrimenti. Fedele alla sua indole di convertitore di anime ribelli, le pensava tutte pur di riuscire nell’intento di farci presenziare alla funzione pasquale (ma anche alle altre), al punto che trascorsi circa trent’anni da quei giorni a loro modo epici, due sono i ricordi fondamentalmente impressi nella memoria: le scuse che noi bambini sapevamo inventare per fuggire i suoi diktat religiosi, insieme alla musica allegrotta con cui ci deliziava la mattina di Pasqua per divertire i nostri cuori, musica che si alternava armoniosamente con i possenti rintocchi delle campane.

Don Vinante la Pasqua la viveva come nessuno. Quel suo strazio disperato il giorno della Domenica delle Palme, mentre leggeva della passione del Cristo, mentre ricordava il momento in cui Gesù era spirato, mentre rimarcava lo smarrimento dei soldati romani che testimoniavano il buio che era improvvisamente sceso sul mondo e sentivano la terra tremare sotto i piedi, impressionava. Almeno, la prima volta. Poi ci si faceva l’abitudine e la faccenda diventava evento marcante lo scorrere del tempo esattamente come lo diventavano tutte le altre incombenze eccezionali di cui solevamo occuparci in quell’usato passato, dalla semina delle patate alla vendemmia. Dal carnevale alla sagra di San Basilio. Dalla festa di Sant’Antonio ad una qualsiasi serata di balli sardi.

È stato solo molti anni dopo che ho scoperto che le crociate religiose di questo mitico prete villanovese, conosciuto in tutta la Sardegna (e non solo!) e che ho sicuramente amato tanto (e rispettato come nessuno!), avevano, mercé la loro inflessibilità, fatto un solo fagotto dei riti millenari, anche religiosi, che erano esistiti nel mio paesello prima del suo arrivo di continentale determinato, e lo avevano buttato alle ortiche. “È Dio tutto ciò che conta!” mi disse, una sera di diverso tempo fa, durante una straordinaria telefonata Dublino-Elini. “Si sbaglia don Vinante, sono gli uomini che contano: i loro pensieri, le loro azioni, i loro miti e i loro riti!”. Fu quel giorno che capii che non ci si sarebbe più potuti “incontrare” su un terreno meramente intellettuale. Capii anche che quell’uomo-di-Dio che avevo tanto avversato e ad un tempo tanto ammirato nei miei anni più giovani, non sarebbe mai riuscito a reggere il confronto con il suo stesso mito che viveva in me. Quel mito che tutti noi villanovesi, chi più chi meno, avevamo cullato dentro e a suo modo protetto e che, in un’altra serata dell’anno, anche questa oramai molto lontana, ci portò a costruire un muro di mattoni davanti alla porta della Chiesa per impedire che il nostro amato-odiato prete ci lasciasse per sempre, come da ordini della Diocesi. Inutilmente.

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Pasca manna! Sapeva di sole, di primo amore, di cieli tersi e chiari, di profumi di fiori rari e di rondini che tornavano. O almeno così mi pare. Sapeva di grandi uova di cioccolato avvolte dentro confezioni giganti, forme cangianti, colorate e profumate. Sapeva di agnellini senza mamma, arrostiti a fuoco lento, sacrificati su un aspro altare. Sapeva di ideali colombe di pace, di corse a perdifiato, di nuraghi sfatti e di aquile in volo, di primavera che arrivava e di ventate birichine. Sapeva delle nostre risate bambine, di timidi sogni che non osavano mai svelarsi, di mille storie di briganti, di infinite notti d’ebano. Stellate. Fatate. Incantate. Rubate. Smarrite. Vissute. Irrimediabilmente… perdute!

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Featured image, chiesa di Villanova Strisaili (OG), nel 2005, copyright Rina Brundu.


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