Venerdì 9 luglio è il giorno del silenzio della Rete contro il ddl sulle intercettazioni e contro la cosiddetta legge-bavaglio. L’appello lanciato da Lettera 22, Reporter Senza Rete e Articolo 21 conta già centinaia di adesioni ufficiali o ufficiose tra giornali on line e blogger.
Allo stesso tempo domani, in occasione della giornata di silenzio informativo organizzata dalla Federazione nazionale della stampa con uno sciopero dei giornalisti contro una legge che, secondo l’associazione, “limita pesantemente il diritto dei cittadini a sapere come procedono le inchieste giudiziarie”, diversi quotidiani nazionali non usciranno in edicola e alcuni telegiornali o radiogiornali non andranno in onda.
“un gesto di responsabilità – scrive Repubblica in un editoriale - per denunciare il governo e richiamare l’attenzione di tutti i cittadini sulla gravità di una norma che colpisce insieme la tutela della legalità, il contrasto al crimine e la libera e trasparente circolazione delle notizie”
La mente torna veloce al 14 luglio di un anno fa, quando Alessandro Gilioli riuscì a mobilitare numerosi blogger in una protesta silenziosa contro l’ormai celebre ddl Alfano, che in un suo passaggio conteneva riferimenti quanto meno fumosi ad obblighi di rettifica ai quali sarebbero stati assoggettati tutti i (non meglio specificati) “siti informatici”: allo scoccare della mezzanotte, per 24 ore, gli aderenti non postarono nient’altro che non fosse il logo dell’iniziativa e alcuni contributi (un video e qualche banner) preparati per l’occasione. Eppure la domanda, per quanto retorica, oggi come allora rimane sempre la stessa: quanto rumore può fare il silenzio?
Nonostante la metafora del bavaglio sia decisamente evocativa per protestare contro l’approvazione di tale normativa, che senza dubbio fa leva sulla paura per drenare consenso verso un provvedimento di fatto restrittivo e dalle conseguenze difficilmente immaginabili, il silenzio non appare certo come l’arma più incisiva per contrastare questa particolare azione del Governo. Lo sciopero, solitamente, si mette in atto per arrecare danno alla propria azienda al fine di attirare l’attenzione su un problema fino a quel momento ignorato: ma quando il proprio datore di lavoro è (o, almeno, dovrebbe essere) la libertà di informazione è facile scivolare dalla protesta minimalista all’autolesionismo.
Anche se dura solo un giorno è un paradosso della comunicazione: non informare per essere liberi di informare. Ci sono alternative? Sì, ce ne sarebbero, ad esempio promuovere una grande campagna informativa di risonanza nazionale che spieghi davvero alla gente i pericoli a cui si potrebbe andare incontro se questo ddl dovesse passare così com’è.
Dedicare ampi spazi all’approfondimento, approfittare dell’occasione per tornare almeno per 24 ore al giornalismo d’inchiesta, dipanare gli ipotetici scenari futuri, analizzare nel dettaglio i punti critici per la libertà di stampa e per la giustizia, fare un serio mea culpa sugli eccessi della stessa carta stampata (esempio: le fughe di notizie dai tribunali), mettere nero su bianco tutte le conseguenze possibili di questa normativa e lasciar giudicare al lettore se vale la pena restringere così tanto il concetto di privacy.
Insomma, quanto rumore può fare la vera libertà di stampa?