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Passaggio in India – David Lean

Creato il 10 giugno 2014 da Maxscorda @MaxScorda

10 giugno 2014 2 commenti

Passaggio in India
Affrontai il libro con un certo sospetto perche’ non da oggi, del destino dell’India, della sua storia e delle sue tradizioni, non me ne puo’ fregare di meno. Saro’ brutale ma cosi’ e’. In breve pero’ mi accorsi che nel libro l’India era un pretesto, un mezzo e non un fine per parlare si di colonialismo ma all’interno dell’ambito ben piu’ ampio della convivenza tra civilta’. Inaspettatamente scoprii come Edward Morgan Forster venisse incontro al mio pensiero e cosa ben piu’ importante, il testo e’ d’indicibile forza restando delicato, dove nulla e’ risparmiato ma su tutto la grazia dello stile addolcisce la ruvidezza dell’argomento. Non nego di essermi fatto trascinare nella storia con appassionante furore e malgrado non fossero le vicende in senso stretto ad essere protagoniste, le ho accettate con lo stesso buon grado con cui ho ascoltato le argomentazioni.
Tanto rispetto e considerazione dovevano portarmi inevitabilmente al film che narra le vicende di un professore indiano accusato di tentata violenza ai danni di una giovane donna inglese, narra di chi lo appoggia e chi lo osteggia, indiani e inglesi distanti oltre possibile congiungimento.
Fino ad un certo e vedremo il perche’, il film colpisce per l’assoluta fedelta’ al testo. Se in apparenza cio’ che accade e’ sin troppo lineare, la vera difficolta’ e’ insita nell’idea di incomunicabilita’ tra popoli. Esiste un fatto specifico quando in realta’ si tratta di un pretesto per sostenere un’idea che si compie all’ultima pagina del libro.
La tesi dello scrittore si esplica attraverso piccoli dialoghi, scambi di battute o riflessioni dei personaggi, ognuno di questi non riproducibili sul grande schermo. Con piccole variazioni, talvolta astuzie letterarie, Lean rende bene anche le sfumature che impreziosiscono il romanzo di Forster.
Anche nell’affrontare il nodo centrale della storia, ovvero l’aggressione vera o presunta ad Adela, Lean non prende scorciatoie e anch’egli sottolinea come l’indeterminazione di quanto e’ accaduto concorra al senso generale, scelta non cosi’ scontata e non cosi’ semplice da comprendere nel breve tempo del film.
Tutto perfetto, incredibilmente perfetto e poi la tragedia. Cio’ che nel libro e’  la terribile ed inevitabile fine di ogni speranza di convivenza, nel film questo viene orrendamente trucidato sull’altare del maledetto politicamente corretto e tramutato in piagnisteo di baci e abbracci. Ancora una volta l’orrore buonista strazia la realta’ dei fatti ribadendo tristemente, la disintegrazione del nostro quotidiano adombrato dal volere di chi propone un impossibile meticciato..
Non esiste un motivo logico, ne’ tecnico, neppure letterario, da parte di Lean vi fu il barbaro omicidio della Verita’. Inaccettabile ma andiamo avanti.
Bel casting, in particolare Judy Davis la protagonista, meritava l’Oscar per un ruolo il suo, molto complicato, per essere riuscita a rappresentare una donna incapace d’impedire al suo caos interiore di tracimare nel mondo che la circonda. Analogamente Victor Banerjee, il dottor Aziz, ha in se’ la grazia e la tragedia di un uomo che vede disintegrare l’idea stessa di serenita’ nella quale si era cullato.
Peccato davvero. Libro, libro e ancora libro, questa roba e’ da dimenticare e lo dico con la disperazione nel cuore.

"gli uomini non esistono in sé stessi, ma nei termini in cui si pensano vicendevolmente, idea alla quale la logica non offre nessun sostegno"

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