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Manca ancora un’ora al mio appuntamento di lavoro. Non ho molta fame ma decido lo stesso di mangiare un boccone. Mettendo a tacere coscienza e cellulite opto per il Mac Donald’s.
Non è una scelta intelligente - lo so - né per il caldo, né per il fegato, ma ogni tanto amo farmi del male deliziando il palato con le prelibatezze della celeberrima catena.
Mi siedo nel finto-giardino all’aperto che si affaccia sull’assolata piazza della stazione centrale.
Non c’è molta gente oggi.
Sbocconcello un paio di patatine in attesa di decidere quale dei miei due passatempi preferiti mettere in atto: l’ “inventastorie” o l’ “ascoltofattialtrui”.
Il primo consiste nell’osservare una persona, meglio se sola, ed inventare una storia su di lei prendendo spunto dall’abbigliamento, da ciò che fa, dall’atteggiamento non verbale, da un particolare qualsiasi, da un tic, da ciò che legge e così via.
In effetti ho il cervello pieno di racconti derivati dal gioco “inventastorie”.
L’ “ascoltafattialtrui” è un classico dei classici. Semplicemente si ascoltano i fatti di due o più persone che parlano, cercando di ricostruire l’argomento alla perfezione.
Passatempi che riescono particolarmente bene quando si pranza da soli, mentre si viaggia in treno, in metro o sull’autobus; meglio evitarli quando si è in coda in automobile, anche se l’”inventastorie” ha un suo fascino anche sbirciando attraverso i finestrini altrui.
Oggi decido per l’ “ascoltofattialtrui” dal momento che la mia attenzione viene catturata da un gruppo di ragazzini che irrompono nel silenzio afoso di questa piazza.
Sono cinque o sei, sui sedici anni: zaini in spalla, scarpe da ginnastica grandi come vasche da bagno, brufoli sparsi e creste rigide di gel che solo il getto delle pompe antincendio potrebbe sciogliere. Tutti maschi.
Per un istante immagino mio figlio a quell’età: visto che il gel lo vuole già a quattro anni, quando ne avrà sedici o sarà calvo, oppure avrò fatto un mutuo per comprargliene tubetti sempre nuovi.
Si siedono proprio nel tavolo accanto al mio, non devo neppure sforzarmi troppo per ascoltare.
Davanti ai vassoi colmi di panini a sei strati e patatine trasudanti salse dai colori improbabili cicalecciano allegramente.
Parlano di scuola e di ragazze.
Poco di scuola, molto di ragazze.
“Hai visto la Federica che tette che c’ha?”
“Sì, ma la Erika c’ha il culo più bello”
“Sì va beh ma la Erika se la tira troppo pensa di essere l’unica buona della scuola”
Seguono altri commenti.
Mi distraggo un attimo pensando che a volte quando gioco all’ “ascoltafattialtrui” sul treno e i protagonisti sono distinti cinquantenni incravattati i discorsi non sono così diversi…
Poi mi sintonizzo nuovamente quando sento dire:
“Oh, ma avete visto quant’è gnocca la prof. Di mate della 3 C, quella nuova?”
“Ma chi la Revelli?”
“Sì, sì, lei, dai c’ha sempre delle minigonne che si vede il perizoma sotto”
“Sì, hai ragione, ha anche due labbra da pompini mica male, eh?”
“Oh, raga, ma parlate veramente della Revelli?”, interviene il più silenzioso del gruppo.
“Sì, perché?” rispondono gli altri
“Raga ma voi siete fuori, è vecchia, è un amica di mia madre, ha solo due anni meno di lei, ma dai vi piacciono le mummie è del 1971, capite?”
In quel momento avverto una leggera fitta allo stomaco, temo non sia colpa del Mac Chicken, no, temo di no.
Gli altri continuano: “O minchia, è davvero un dinosauro, però se li porta bene eh? Beh, una bella tardona”…
Decisamente indigesto il Mac Donald’s, o forse ho sbagliato passatempo: era molto megli, oggi, se mi fossi dedicata all’ “inventastorie”
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