Anna Lombroso per il Simplicissimus
È vero, lo ammetto, sono una snob e se c’è qualcosa che mi fa uscire dai ganghero è quell’abitudine deplorevole dei parvenu che gli inglesi chiamano name dropping, quel distillare e far cadere nella conversazioni i nomi di battesimo di noti ed influenti per sottintendere familiarità, confidenza e intimità, biasimevole quanto l’orologio sopra il polsino o la targhetta con la scritta “cashmere” che penzola dalla pashmina. Come se essere ammessi alla tavola dei grandi, anche come camerieri, fosse una credenziale, una dimostrazione della benevola ammissione agli arcana imperii, l’ostentazione della luce indiretta che ricevono dai loro astri.
Beh, Jeeves non l’avrebbe fatto mai, mai si sarebbe umiliato a rinnegare la sua missione di irreprensibile valletto, chiamando Bertie il suo signor Wooster, ancorché fosse un inetto, labile, aristocratico parassita.
Invece ieri sera, suscitando la sorpresa riprovazione perfino dell’invertebrato Fazio, il ministro Passera ha chiamato l’amministratore delegato della Fiat, Sergio, ad indicare l’intrinsichezza e la domestica contiguità, amichevole e complice.
E dimostrando che quelli del cast tecnocratico sono inadeguati anche a fare i maggiordomi, se è vero che la relazione tra camerieri e nobiluomo in Wodehouse è paradigmatica dei rapporti tra le classi del declino di un impero, nella quale vige una inversione dei ruoli tra Jeeves e Bertie: la gerarchia intellettuale, culturale e linguistica è esattamente l’opposto di quella sociale e finanziaria, così Bertie Wooster deve essere ricco e aristocratico perché non sa fare nulla e Jeeves può appartenere alle classi subalterne perché sa fare tutto.
Per non parlare poi della slealtà: Jeeves è fedele al signore fino al sacrificio e all’abnegazione e malgrado qualche minaccia di defezione, lo critica ma con abituale deferenza. E non lo tradisce mai. Mentre il Passera ieri sera ha sbrigativamente e in un colpo solo liquidato i vecchi datori di lavoro e sponsor che lo avevano collocato immeritatamente alla testa di Poste e di Alitalia, dove deve aver appreso appunto solo l’arte di liquidare beni e potenzialità, per farne carne da cannibalizzare.
Sono queste le varie forme che assume la corruzione, che non tratta solo il passaggio di buste rigonfie, il commercio opaco di corpi e intelligenze, ma che riguarda, e molto, quel traffico di influenza, che probabilmente non verrà mai contemplato dal codice penale, proprio perché è la cifra della politica contemporanea, il carattere della degenerazione della democrazia. E che parla di trasferimento nella sfera pubblica di contenuti che attengono a quella privata e personale, la fidelizzazione e l’affiliazione, l’appartenenza e l’adattamento supino a valori e principi che contrastano con l’interesse generale e il bene comune.
Uno dei retaggi più riprovevoli della propaganda profusa ai tempi della guerra fredda è quello che Garcìa Marquez ha chiamato il “fondamentalismo della democrazia”, per indicare l’uso manipolatore di una parola “democrazia”, che nella sua attuale degenerazione o nell’annientamento cui vogliono sottoporla, compiere, racchiude il contrario di ciò che etimologicamente esprime: l’imposizione autoritaria di una ideologia, l’intolleranza verso ogni altra forma di organizzazione politica fino alla compravendita del voto, al mercato politico e, insieme, al sopravvento del mercato sulla politica.
Di questa degenerazione i tecnocrati al governo sono i custodi: citano regole democratiche come un mantra salvo disprezzarne contenuti ed applicazione, disprezzano voti e consenso, si auto incaricano e si vantano di essere dei nominati – grazie ad acrobazie costituzionali permesse da guardiani istituzionali poco leali – quanto di manomettere la costituzione in nome di leggi sovrane, quelle del mercato e del profitto. E’ questa l’ultima frontiera della privatizzazione della politica, che passa per la personalizzazione delle funzioni e degli incaricati, ancorché grigi, informi e stantii, per la svendita dei beni comuni, per la liquidazione dei diritti e delle garanzie. E per il completamento del disegno iniziato da Berlusconi: la trasformazione della politica in un sistema aziendale, che prevede una selezione del personale sulla base di criteri di fidelizzazione, affiliazione, ubbidienza (che, si sa, gira col vento e può quindi essere intermittente), criteri e requisiti che circoscrivono i confini del potere dentro a un’enclave di affini, solidali grazie ad alleanze strette ed erette su impalcature di interessi opachi ed ambizioni mediocri, separate e ostili ai cittadini ed anche ai loro rappresentati ormai imbelli grazie alla loro ricattabilità.
Passera è una figura esemplare, l’idealtipo di questa classe: modaiolo, soggiogato dalla seduzione della modernità, cinico e sbadato, sprezzante delle regole nel considerare inviolabile il suo evidente conflitto di interessi, ma ligio invece nell’osservanza di quelle dell’”ordine” di appartenenza, indifferente a idee e concetti, ondivago qual è tra kermesse della Lega, summit confindustriali, merende con Ichino e gite con Montezemolo. Un sacco molle come la poltrona di Fantozzi, vuoto come un quadro delle organizzazioni di vendite piramidali … ed infatti se lo contendono come il candidato ideale vecchie e nuove scatole elettorali che non vogliono sorprese.
La sorpresa che gli riserveremo noi sarà di non votarli.