Passion
(Passion)
Brian De Palma, 2012 (Germania, Francia, Spagna, Gran Bretagna), 94’
Christine (Rachel McAdams) dirige capricciosamente la sede europea di una multinazionale della pubblicità, tiranneggiando sul fidanzato Dirk (Paul Anderson) e sui suoi collaboratori. Isabelle (Noomi Rapace) talento estroso quanto naif, ne subisce l’influenza e il fascino fino al giorno in cui, dopo l’ennesimo sopruso, decide di reagire. Con conseguenze insospettabili.
È passato qualche lustro da quando Brian De Palma scelse di chiudere in un cassetto la Bibbia di un genere (il thriller) che aveva contribuito a forgiare con stile inconfondibile nel ventennio precedente: Doppia Personalità (ed in parte il successivo Omicidio in diretta) avevano rappresentato gli ultimi, stanchi, sguardi del cineasta su un Cinema del quale sembrava aver ormai esplorato ogni situazione e sfruttato tutti i possibili espedienti. Il successivo vagabondare tra i più disparati generi (fantascienza, azione, noir, guerra), pur non privo di soddisfazioni, ha però condotto De Palma nuovamente sulla proverbiale “scena del delitto”, in una impresa affrontata con nuova energia ma intatto gusto scenico.
Passion, adattamento del film francese Crime d’amour (2010), potrebbe lasciare inizialmente perplessi i depalmiani devoti, sopresi dalla fotografia dai colori vivacissimi che José Luis Alcaine ha portato direttamente dai set spagnoli di Almodovar, ma col procedere della narrazione ognuno dei rassicuranti frammenti del puzzle (come il contrappunto musicale dell’aficionado Pino Donaggio) iniziano a trovare il loro posto. De Palma indulge infatti in tutte le sue signature shot: i piano sequenza dal punto di vista dell’assassino, un meraviglioso split screen che fonde danza classica con scene di suspense e, dulcis in fundo, l’ellittico finale pronto a far vacillare le convinzioni dello spettatore. Proprio durante l’ultima mezzora del film il regista di Blow Out, Vestito per uccidere ed Omicidio a luci rosse esce di nuovo allo scoperto: l’atmosfera almodovariana lascia spazio ad una nuova dimensione, in cui i colori divengono freddi e mal definiti, caratterizzata da un continuo gioco di flashback dove sogno e realtà sono ormai indistinguibili. Fluidi movimenti di camera diventano gli occhi dello spettatore su un mondo da incubo, un universo nel quale possono finalmente essere applicate le leggi del Maestro del thriller-kitsch. La verosimiglianza della trama viene sacrificata ben volentieri sull’altare della riuscita scenica come quando, nel climax conclusivo, De Palma contamina i fondamentali del Cinema di Hitchcock col suo inconfondibile gusto grandguignolesco, in una sequenza che vale, da sola, il “prezzo del biglietto” – insieme al già citato split screen sulle note di Debussy.
La coppia McAdams-Rapace offre una prestazione convincente nonostante i loro due personaggi siano, almeno all’inizio, caratterizzati in modo da risultare così agli antipodi da apparire quasi caricature (femme fatale vs ragazza ingenua). Come ogni altro elemento di Passion possono esistere solo nelle dinamiche, inconfondibili e per questo discusse, di un film firmato De Palma.
Amarcord.