E' partita da Punta Arenas la protesta contro la miniera di Riesco, che vede opporsi gli interessi dei cittadini e dell’ambiente a quelli dell’oligarchia al governo
Il carbone oggi, la miseria domani”. Lo striscione che campeggia sul corso principale di Punta Arenas – comune di 119 mila abitanti nell’estremo Sud cileno, al confine tra gli oceani Pacifico e Atlantico – riassume perfettamente i timori, la rabbia e la voglia di lottare degli abitanti di una delle regioni più remote del Sudamerica. Da qui è nata, dallo scorso gennaio, una vera e propria rivolta contro il progetto del governo di costruire una gigantesca miniera a cielo aperto: 500 ettari di scavi, per estrarre 6 milioni di tonnellate di carbone all’anno e un porto per far salpare i carichi verso Nord. Teatro dello scempio ambientale dovrà essere l’isola di Riesco, la più grande nello sperduto – e incontaminato – lembo di terra cileno.
Tesoro nero
Abitata un tempo dagli indigeni kaweskar, oggi sull’isola rimangono poche centinaia di pastori, in qualche decina di grandi fattorie. Una presenza irrilevante per la destra guidata da Sebastián Piñera, che vuole sfruttare i grandi giacimenti carboniferi così da alimentare centrali ambientalmente insostenibili pur di dare nuova linfa alla crescita del Paese. Un “metodo” in perfetta sintonia con le politiche economiche nazionali dal 1973 ad oggi. Ovvero dall’anno del rovesciamento cruento del governo legittimo di Salvador Allende, seguito dalla dittatura militare fascista di Augusto Pinochet. Il tutto sotto l’egida degli Stati Uniti, che, oltre ad aver esportato bombe, hanno indicato la linea economica: privatizzazione dei gangli fondamentali del sistema produttivo, fiducia cieca nell’economia di mercato, sostegno sociale ridotto al minimo. Il risultato è stato un’espansione record, per molti anni, sostenuta da un boom dei consumi. Ma, al contempo, su 12 milioni di abitanti, la quota degli indigenti è via via aumentata, fino a raggiungere oggi un terzo della popolazione. Quattro milioni di cittadiniche vivono privi di assistenza sanitaria e di accesso all’istruzione. E le 15 famiglie più ricche del Paese, nel frattempo, che controllano il 20% della ricchezza prodotta.
Interessi personali vs ambiente
Proprio per questo la protesta dell’isola di Riesco si è trasformata in breve da una rivendicazione locale, partita lo scorso gennaio, in un movimento più ampio, che ad aprile ha visto in piazza a Santiago 80 mila persone contestare a tutto tondo le scelte di Piñera. A partire dalla sua posizione personale: la società che si dovrebbe occupare della costruzione delle miniere è infatti la Minera Isla Riesco (Mir), controllata dalle compagnie Ultramar e Copec.
Il presidente possiede l’1,3% del capitale e un’ulteriore quota (il cui ammontare è sconosciuto) è in mano a sua moglie. Non meno importante il capitolo ecologico: i rischi, secondo gli ambientalisti, sono enormi. Una miniera a cielo aperto, in un’area nella quale soffiano venti fortissimi, potrebbe inquinare un’ampia porzione del territorio, in gran parte vergine. «Non occuperemo più dello 0,5% della superficie dell’isola – ha minimizzato al quotidiano francese Le Monde Patricio Alvarado, responsabile ambientale della Mir – e pianteremo degli alberi per compensare i danni della miniera».
E per quanto riguarda il particolato portato dal vento «vigileremo attraverso una rete di stazioni meteorologiche». Parole che non hanno convinto i contrari, preoccupati anche per le pesanti ricadute che si potrebbero generare sul turismo. Se è vero, infatti, che la Mir offrirà 800 nuovi impieghi, i vacanzieri che arrivano da tutto il mondo garantiscono almeno 12 mila posti di lavoro, secondo l’economista cileno José Vera.
Per tutto ciò le associazioni si preparano anche ad una battaglia legale. Piñera di certo non si arrenderà facilmente: il sito informacioncivica.info ricorda come la sola pianificazione della miniera abbia comportato una decisa crescita delle azioni dell’azienda di cui è comproprietario, che gli ha fatto guadagnare 5 milioni di dollari in un solo giorno. Da una parte, dunque, gli interessi dei contadini, dell’ambiente, della gente comune. Dall’altra quelli delle grandi aziende, della politica, del mercato, dell’ideologia liberista: lo stesso braccio di ferro dal 1973.