È facile immaginare la gioia dei cosiddetti ambientalisti, ora che la Corte d’Appello cilena di Porto Montt ha bloccato il progetto HidroAysén.
Molto più difficile invece, se tale decisione sarà confermata in seguito, immaginare il futuro energetico del Cile.
Le cinque centrali idroelettriche previste dal progetto iniziale, infatti, avrebbero una capacità complessiva di 2750 MW, con una produzione stimata in una media annuale di 18,5 miliardi di kWh all’anno, pari al 35% dell’intero fabbisogno cileno nel 2008.
Ma tutto ciò, sostengono gli ambientalisti, avrebbe comportato la distruzione di diversi ettari di terreno con gravi conseguenze ambientali; ma allora qualcuno ci deve spiegare come mai nessuno ha levato un dito contro l’entrata in servizio di due centrali a carbone previste nei prossimi mesi, per giunta prive della tecnologia Europea volta all’abbattimento dello zolfo presente nella combustione del carbone.
Tra l’altro, il progetto prevede la creazione di un’area protetta di 11.560 ettari (pari al doppio della superficie cumulativa dei 5 bacini idroelettrici), dotata di infrastrutture per lo sviluppo turistico. Non solo, ma all’interno di tale area avrebbe luogo una riforestazione di 4.500 ettari con specie autoctone.
Se passiamo poi all’aspetto economico della faccenda, il quadro è ancor più desolante.
L’investimento totale di circa 2,5 miliardi di euro previsto per HidroAysén infatti darebbe lavoro a migliaia di persone in una nazione in cui i livelli di vita non sono certo quelli conosciuti in Europa.
Ma ora, come si diceva all’inizio, tutto è stato bloccato. E l’impressione è che a pagarne le conseguenze sarà soprattutto il progresso della nazione cilena. E nonostante stiamo parlando della Patagonia, più che Chatwin o Sepùlveda viene in mente un famoso detto di Mao Tse Tung: ”Quando il dito indica la luna, lo sciocco guarda il dito”.