Patetici maschi esibizionisti da una parte, patetici maschi comprensivi dall'altra (ancora appunti sulla crisi del maschio)

Creato il 10 luglio 2014 da Stupefatti

Di recente ho visto una clip del video-artista Mike Stubbs. Era una sorta di balletto: bianco e nero, musica incalzante. I ballerini erano un gruppo di uomini in maniche di camicia, virilmente rasati, virilmente pettinati. I maschi alfa, i nuovi rampanti, i yankee, i vitelloni in forze presso il capitalismo.
Faccia pulita e compatta, sguardo dritto e determinato, già li immaginavo ad una convention aziendale o a una riunione motivazionale. Pronti a conquistare il mondo.
Ma c’era qualcosa che non andava.

Provavano a fare gesti armoniosi, infatti, ad essere energici e plastici, ma non ci riuscivano. Nei loro corpi, nelle loro facce, c’era sempre qualcosa di spezzato, di rigido.Neanche tra di loro c’era intesa: non avevano un cazzo di coordinazione.
La loro virilità era ostentata, aggressiva, esplicita. Noi siamo maschi, sembravano dire continuamente.
Però, tentativo dopo tentativo, fallimento dopo fallimento, la danza finiva per assumere caratteri ambigui, ai limiti dell’omosessualità, e quelli che dovevano essere gesti armoniosi diventavano smorfie e linguacce.
Nella “coreografia” finale, tutti loro – uno dopo l’altro – si abbandonavano a terra, scomposti e disarmonici, come marionette con i fili spezzati.
Questi maschi, poi. Erano tutti uguali. Erano vanitosi e autoreferenziali. La scena trasudava chiusura verso il mondo esterno, quel mondo che non si vuole “conoscere” ma soltanto “conquistare”.Chiusura quindi paura: paura del diverso (che è tipicamente maschile).
L’immagine era quello di un maschio senza individualità, perché tutto preso dall’affermazione sociale, dal rito collettivo, dal branco, dalla sfera pubblica del proprio essere.Maschio che però non funziona nemmeno più a livello collettivo, perché qualcosa nell’ingranaggio si è rotto.
La crisi del maschio
E qui arriva la crisi del maschio. Le cause? L’emancipazione femminile, la fine del patriarcato tradizionale, e ora mettiamoci pure la crisi economica e – se Dio vuole, ma ci credono in pochi, anche se sarebbe cosa e buona e giusta – la ridiscussione del capitalismo finanziario basato sul denaro e l’alienazione. Quindi la fine di un mondo, il crollo di un’impero.
La crisi del maschio sta producendo una brusca e difficile ridefinizione dei ruoli sessuali, ma chissà in che direzione.
Intanto, nei maschi, avviene di tutto. Ma ci sono due dinamiche principali:1) C’è chi diventa sempre più chiuso, paraocchi, violento, misogino, omofobo, affermando in questo modo – con un’intensità piena di auto-cattiveria – una virilità su cui si hanno inconsciamente molti dubbi.2) C’è chi ha meno dubbi sulla propria virilità e riesce ad accogliere a sé numerose caratteristiche tradizionalmente “femminili”, con risultati che sono frutto di tempi di cambiamento, e quindi quasi mai completamente compiuti. La decisione di essere “maschio comprensivo” (2), però, il più delle volte è elaborata razionalmente e auto-imposta con notevole violenza intellettuale. E ciò provoca un grado di forzatura e innaturalità che non fa certo bene alla psiche.
Insomma, per i maschi per ora è un casino.
Il fatto è che maschio e femmina si portano dietro millenni di sovrastrutture sociali, culturali, religiose. Sono contenitori di significato che investono per intero le esistenze di tutti gli individui.
Le distinzioni sessuali non dipendono soltanto dal desiderio e dal rapporto sessuale, purtroppo, ma da tutto ciò che avviene lontano da alcove, lenzuola e fantasie erotiche.
NOTE


1) “Generalmente l’esibizionismo è un disturbo della sessualità. Mostrare il proprio organo, ma non perché sia potente. Per compensare l’impotenza”Vittorino Andreoli su L’Huffington Post. "Il pathos nell’atteggiamento non appartiene alla grandezza; chi ha bisogno di atteggiamenti è falso…Attenzione alle persone pittoresche!" Friedrich Nietzsche, Ecce Homo
2) Alcuni brani da "Le nuove ferite degli uomini", di Vera Slepoj, 2010
“Sii uomo”
Gli uomini sono molto più preoccupati e impegnati ad affermare la propria maschilità di quanto siano le donne nei confronti della loro femminilità. Queste hanno dimostrato chiaramente negli ultimi decenni che, pur non riconoscendosi nei ruoli tradizionali e pur essendo spesso accusate di non avere più il fascino e la seduttività del passato, non sono particolarmente preoccupate di perdere la propria femminilità. Questo fa presupporre che le donne percepiscano la femminilità come un dato naturale e sostanziale, che non viene scalfito dai cambiamenti comportamentali né minacciato dall’assunzione di nuovi ruoli, perché è vissuto comeintrinseco al loro corpo. (…)Come afferma Elisabeth Badinter: “L’ordine tanto spesso udito: “Sii uomo” implica che la cosa non va da sé e che la virilità non è poi così naturale come si vorrebbe credere. Essere uomo comporta un lavoro, uno sforzo che non sembra richiesto alla donna”La costante preoccupazione nel dover difendere e ribadire la maschilità fa presupporre che questa sia percepita, a livello sociale e individuale, più come una costruzione culturale che come una condizione naturale.Tra le diverse risposte “adattive” alla crisi della virilità, alcuni includono anche la tendenza da parte maschile ad appropriarsi degli attributi femminili, senza però riuscire a farli completamente propri, come dimostrano i fenomeni sempre più diffusi della transessualità e del travestitismo. Sembra infatti che la segreta paura di assomigliare alla donna, che molti riconoscono come elemento intrinseco all’identità maschile, sia stata progressivamente affiancata da un’invidia del potere femminile, ritenuta una “spia” della crisi della virilità.Timore dell’omosessualità, molto più sviluppato negli uomini che nelle donne.Inoltre, sostiene Roberto Stoller, molti comportamenti che nella maggior parte delle società vengono considerati “naturalmente” maschili hanno, in realtà, una funzione difensiva nei confronti di una serie di paure, oltre a quella dell’omosessualità: paura delle donne, paura di essere troppo femminili, paura della propria passività. Perciò troviamo spesso, nell’uomo comune, atteggiamenti di ostentazione del coraggio, della forza e dell’aggressività, di svalutazione delle donne, dei loro interessi e comportamenti, e di solidarietà con gli altri uomini, purchè non siano omosessuali, proprio sulla base di questi principi.Il maschio teneroEmerge una figura maschile meno rigida e monolitica e, senza dubbio, più complessa rispetto allo stereotipo che ha caratterizzato l’epoca moderna. Una figura che già molti autori tentano di delineare, cercando anche di intravederne il percorso di crescita.
Sostanzialmente, esistono due filoni nell’analisi e nella letteratura sulla nuova, o nuove, maschilità. Da un lato gli autori come Robert Bly, che identificano il superamento della crisi del maschile con il recupero e la riappropriazione delle caratteristiche e degli archetipi ritenuti propri della maschilità; dall’altro lato, gli autori che sostengono che la ridefinizione dell’uomo debba contemplare una sorta di sintesi fra le caratteristiche del maschio tradizionale e alcuni aspetti, considerati più femminili, a cui gli uomini oggi si sono avvicinati.
Coloro che auspicano un recupero delle caratteristiche maschili partono dal presupposto che la relativa “femminilizzazione” degli uomini avvenuta a partire dagli anni Settanta abbia creato una generazione, quella dei cosiddetti maschi “teneri”, che, sebbene abbiano sviluppato caratteristiche estremamente nobili, sintetizzate in un atteggiamento gentile nei confronti degli altri e dell’esistenza, non si sono comunque sentiti più liberi, né più realizzati. Secondo Bly, “molti di questi uomini non sono felici. Si fa presto a notare la loro mancanza di energiaSono capace di preservare la vita, ma non esattamente di darla. Ironia della sorte, spesso li si vede al fianco di donne forti che sprigionano invece una vitalità decisa”.
E infine, sempre sugli uomini “teneri”: “Parte della sofferenza derivava da un senso di lontananza dal padre, che avvertivano in maniera acuta, ma il dolore scaturiva anche da matrimoni e relazioni problematiche. Avevano imparato a essere ricettivi, ma la ricettività non bastava a sostenere l’unione nei momenti difficili (…) Un maschio “tenero” sapeva dire: “Sento il tuo dolore e considero la tua vita importante quanto la mia, avrò cura di te e ti offrirò conforto”, ma non era in grado di affermare ciò che lui stesso voleva”.Possibilità future: il ritorno al maschio originarioSecondo lo psicanalista Claudio Risè, l’attuale debolezza maschile non deriverebbe tanto dalla perdita del potere patriarcale, quanto da una cultura che ha umiliato il maschio, considerato “brutto e volgare”, cultura, tra l’altro, condivisa dagli uomini, che avrebbero interiorizzato questo processo di perdita di considerazione. Secondo l’autore, la perdita della considerazione dell’uomo sarebbe connessa alla generale caduta simbolica del fallo, che sosteneva la potenza generativa maschile, e quindi il potere patriarcale. La svalutazione del fallo, diventato oggi sinonimo di qualcosa di violento, prepotente e ottuso, costringerebbe gli uomini a subire una devirilizzazione, una sorta di castrazione psicologica e sociale, alla quale si dovrebbe reagire,rilanciando il significato originario e più autentico del potere fallico, quello cioè legato alla generosità del dare, insita nell’elargizione del liquido seminale nell’atto sessuale e nella dedizione al benessere dei cari propria del pater familias. Oltre che per il recupero simbolico del fallo, la rivalutazione del maschile dovrebbe passare anche attraverso il ritrovamento, fisico e psicologico, della Wilderness, la selvatichezza della natura incontaminata. Si tratta di una forza vitale, originaria e arcaica, non intellettuale, che corrisponderebbe alla natura primordiale dell’uomo e sarebbe capace di trasmettere una ricchezza emozionale, istintuale e ideativa, del tutto contrapposta a quella addomesticata che si vive nei recinti dell’azienda, della famiglia e delle convenzioni sociali.

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