Patrizia Zara, exfabbricadellebambole, milano arte
Patrizia Zara (in mostra a Exfabbricadellebambole, Milano click: MAPPA) ci invita a guardare dei peperoni dipinti. Questi peperoni. Tenuti vicini a chi guarda – a chi dipinge – da una mano. La mano che tiene questi undici peperoni (appena svolti da una carta di giornale, lasciandoci intuire che provengano da un mercato rionale e non da un Supermercato – ovvero non dal luogo delle Supermerci dove si predispone la Supervita del Superconsumatore ) non è una mano qualunque: è la mano di Patrizia Zara. Abbiamo a che vedere con l’autoritratto – parziale – di Patrizia Zara, quindi. Abbiamo a far si, poi, che il nostro sguardo ci collochi a reggere undici peperoni nel luogo stesso dell’artista che ha voluto metterli in evidenza. Patrizia Zara dipinge la posizione della sua mano sinistra che porta vicino allo sguardo undici peperoni che si stagliano su uno sfondo neutro come una tela bianca. Non c’è una cucina – o un qualunque ambiente determinato – a fare da sfondo: c’è un limbo. Limbus, in latino, è una condizione temporanea delle anime. Per i fotografi è il fondale nel quale non c’è l’angolo tra piano orizzontale e piano verticale. Il luogo non finito. L’universo temporaneo dove collocare un prodotto, o un soggetto, fuori da qualunque spigoloso universo permanente. Il luogo del bello? Il posto del Valore? >>
Patrizia Zara ci regala due opportunità: amare la bellezza di questi undici peperoni e sostituirci allo sguardo dell’artista che si auto ritrae insieme ai peperoni. Stare vicino ai peperoni potrebbe rivelarci qualcosa. Esserci utile.
Prendiamo a prestito le parole di un artista che non può certo essere definito iperrealista (sempre che sia attuale e importante l’impiego di questa categoria – sinonimo di “realismo radicale”): Henry Moore (da The Sculptor speaks, in “The Listener”, 18 agosto 1937). “Quantunque sia la figura umana a interessarmi profondamente, ho sempre prestato una grande attenzione alle forme naturali, come gli ossi, le conchiglie, i ciottoli e via dicendo. Talvolta, nell’arco di parecchi anni, mi sono ritrovato nello stesso punto della spiaggia, ma ogni anno il mio sguardo è attirato da una nuova forma di ciottolo che l’anno prima, sebbene ve ne fossero a centinaia, non avevo mai visto. Fra i milioni di ciottoli che scorrono davanti ai miei occhi lungo la spiaggia, mi sento stimolato a vedere solo quelli che si adattano al mio interesse formale del momento. Le cose cambiano se mi metto a sedere e ne esamino una manciata uno per uno. Posso allora estendere di più la mia esperienza della forma, dando alla mia mente il tempo di rimanere condizionata da una struttura nuova.“
Moore ci dice che l’osservazione ha bisogno di tempo – di reiterazione – e che le cose cambiano quando si esamina ogni singolo oggetto. Ci dice che il soggetto possiede un interesse formale temporaneo, capace di farsi condizionare da nuove – elementari e fondamentali – strutture. Ci dice che la trasformazione del piombo in oro – del ciottolo in scultura di Henry Moore – è alla portata di qualunque Osservatore.
Credere al bello porta ad una malattia inguaribile (che non può essere curata da nessuna Supervita di un Superconsumatore) : la ricerca dell’identità tra le milioni – miliardi – di strutture percepite e di comportamenti relativi del Soggetto. Patrizia Zara – innamorata della/delle forme di questi undici peperoni, ci porta lontano da qualunque Pop (siamo o non siamo nel 2012?). Peperoni no logo in limbo bianco (o: davanti a una tela che ancora aspetta un pennello?). Autoritratto con peperoni di un artista che crede (e ne ha ben donde) che il Bello stia nell’individuazione, non nella generalizzazione.
A Voi di credere o, più semplicemente, porvi qualche domanda con occhi ben aperti alla mostra di Patrizia Zara a Exfabbricadellebambole di Milano ( 8 – 30 maggio 2012)
Marcel Duchamp: “Mi piace la parola credere. In generale, quando qualcuno dice io so, non sa, crede. Io credo che l’arte sia l’unica forma di attività mediante la quale l’uomo si manifesta in quanto individuo. Solo per mezzo suo può superare lo stadio animale, perché l’arte sfocia in regioni che non sono dominate né dal tempo né dallo spazio. Vivere è credere – almeno questo è quello che io credo”.
Per il team di MAE Milano Arte Expo, Jean Luc Neverborn
Patrizia Zara, exfabbricadellebambole, milano arte
Patrizia Zara
Vernissage 8 maggio 2012 ore 18.30
9 maggio 2012 - 30 maggio 2012
Lunedì-venerdì dalle ore 15 alle ore 19 Sabato e domenica su appuntamento
exfabbricadellebambole
via dionigi bussola 6 – 20143 milano tel. 377.190.2076
http://exfabbricadellebambole.ning.com/
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Comunicato stampa – testo di Gustavo Bonora:
L’Iperrealismo nasce negli USA nel Settanta e, tuttora in auge, fra i movimenti che inaugurano la Neoavanguardia, come la Pop-Art, è anche una mozione ideologica: contro la semiotica astratta, depone per l’iconicità. Finché dura lo statuto Concettuale, escluso l’Informale, tutto il flusso postmoderno attiene alla modalità duchampiana del prelievo oggettuale, con le varianti che vanno dall’Installazione all’effige de La Cosa.
Patrizia Zara, giovane e tecnicamente dotata per talento naturale, è già lì per vocazione, ma anche per scelta, perché nel suo curricolo c’è anche un percorso Informale tuttora assiduo, ma, a suo parere e in tutta umiltà, preferisce mantenerlo nell’ambito decorativo, e sono gli splendidi monili che elargisce agli amici. Noi li esporremo con la giusta considerazione.
Nella semiotica di Zara, oltre all’effige de La Cosa, sono esaltate le mani quali icone della sua mozione ideativa; io direi anche come “prova accademica”; è pur vero che già a livello liceale si diceva che la prova attitudinale più decisiva era il “saper fare le mani”; ma nel talento di Zara questo virtuosismo trascende il verismo e, nell’associare il reale all’immaginario, diviene espressione metafisica ( Gustavo Bonora)
ufficio stampa ANANCHE
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