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Pazienza

Creato il 04 aprile 2014 da Idispacci @IDispacci

Pazienza

Era seduto in poltrona, lasciava che il resto della stanza proseguisse il grande ciclo dell'inutilità: il pc, un portatile appoggiato sul tavolo, era acceso, il browser aperto su diverse pagine -facebook, la posta e un sito porno-, la tv trasmetteva qualche programma pomeridiano basato su sentimenti di bassa qualità, il pianto di un bambino proveniva dall'appartamento accanto, come la voce della madre che lo rimproverava.

Lui se l'era fatta, quella madre, un pomeriggio che il marito era fuori a lavorare, anche il lavoro, per come la vedeva Buk, faceva parte dell'inutilità.

Lui, invece, il posto lo aveva perso. Non ce l'aveva proprio fatta, a stare zitto. Era da quando era nato che non ci riusciva.

L'aveva anche cercato, un altro lavoro, ma niente. Andava ai colloqui contro voglia, e bastavano pochi minuti per fargli capire che aveva ragione, a non volerci andare.

Ancora poco, poi il sussidio sarebbe finito. E anche la sua carriera di scrittore, se così si poteva definire, non andava: ci si era pagato giusto un pacchetto di noccioline, forse.

Scosse la testa, incredulo: senza volere, si era trovato a rimpiangere le giornate come postino, quello che un tempo gli era parso un inferno fatto orari interminabili e di faticose camminate per consegnare lettere, adesso assomigliava ad un'occasione persa.
"Col cazzo!" disse ad alta voce.

Stava affondando e se ne rendeva conto. Si alzò di scatto, era giunto il momento di sciogliere quei pensieri in un po' di whisky. Girò tutto l'appartamento, frenetico come un topo nel labirinto: nemmeno un goccio.
"Troia" bisbigliò. Era stata lei, doveva aver finito la bottiglia prima di uscire, ne era convinto.
Non era mai stato fortunato con le donne, e questa non faceva eccezione.
"Maledetta Sandy" continuò. Poi si domandò, o era Wendy?
La vedeva da un paio di settimane, ma non ricordava il nome. La cosa più tangibile dell'incontro con Sandy -o Wendy-, era il calendario appeso in cucina, ne aveva rubato uno in ufficio e glielo aveva regalato: "Può servirti, se riesci a trovarti un lavoro" aveva detto lei.

Se l'era trovato proprio davanti, quel dannato calendario: ogni giorno, una croce, tranne che su quelli a venire, anche se lui ce la vedeva già.
Aveva circa quarant'anni, si sentiva bruciato, finito, inutile.

Andò verso la finestra, la aprì e mise le gambe fuori. Il traffico, visto da quell'altezza, sembrava meno caotico. Stava imbrunendo. Per quanto le giornate si allungassero, pensò, niente poteva impedire al sole di tramontare, in fondo se lo meritava, un po' di riposo.
Decise che se lo meritava anche lui.

Stava prendendo un respiro profondo, pronto a buttarsi, quando il cellulare squillò. Si girò, l'aveva lasciato sul bracciolo della poltrona, guardò verso il basso, poi di nuovo il telefono.

Rientrò: "Pronto?"
"Buk?"
"Sì, chi è?"
"Sono Hank. Senti, ti va di farti una bevuta e poi di andare alle corse?"
"Sicuro."

La vita era una stronza nevrotica, che non aspettava mai, che andava sempre di fretta. D'altra parte, si disse, toccava alla morte, fare quella paziente.


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