di Carlo Camboni
Cosa fai se muore tua madre, sei un marchettaro albanese che vive a Creta e non hai mai conosciuto tuo padre? Be’, coi soldi dell’ultima marchetta vai in Grecia a trovare tuo fratello e lo coinvolgi in un tour on the road alla ricerca di una paternità mancata e infine non necessaria: intraprendi su due piedi un’Odissea! Dany e Odysseas, diciotto e sedici anni, si avventurano così, con una pistola e un coniglietto bianco, tra Atene e Salonicco abbandonando, con desiderio e spirito d’avventura che profumano di catarsi, la precarietà di un lavoro umile e la prostituzione vissuta con disinvoltura; il tutto con una tenerezza e una complicità negli sguardi che trascendono il rapporto tra fratelli, uno tra i rapporti umani più complessi e insondabili. Per la nostra immensa gioia il film non offrirà risposte o rivelazioni che non sono quasi mai indispensabili o utili al racconto ma lascerà nel cuore e nella mente dello spettatore lo sguardo svagato dei due protagonisti, che indomabili e ingenui lottano con le sole armi di cui dispongono, la spontaneità, la musica e la libertà, attraverso il torrente in piena di una vita che sembra sfuggirgli continuamente mentre cercano di agguantarla con quante forze hanno in corpo. Sotto il segno del disincanto i due ragazzi sonderanno la via dell’appartenenza indossando un passato gravido di dolore con spudoratezza e irriverenza, qualità tipiche della gioventù. Disarmanti nel loro candore sono però armati dalla forza del ricordo della figura materna, un’apparizione bellissima su un battello in festa, una donna che forse faceva la cantante e adorava le canzoni pop italiane, quelle di Patty Pravo in particolare. L’appartenenza non si ottiene con una paternità tanto agognata quanto improvvisata o con la cittadinanza greca che i due fratelli vorrebbero ottenere dal padre, vero o presunto, uno qualsiasi, poco importa. Le domande di accoglienza gettate al vento non saranno ascoltate. Resta semmai l’evidenza di una non risposta, risolta con l’appartenere solo a se stessi e, forse, ai pochi eletti che condividono il dolore della stessa perdita.Il regista Panos H. Koutras ha il merito di aver regalato un perfetto background storico politico ai due protagonisti: la destra xenofoba di Alba Dorada coi suoi attacchi agli omosessuali, il problema dell’integrazione degli immigrati, lo stato di profonda crisi economica che diventa crisi culturale e sociale; è questo lo sfondo reale e drammatico in cui si muovono i due ragazzi, eppure il tono è scanzonato grazie anche alla bravura dei due interpreti principali che omaggiano la memoria della madre con improvvisi scatti di gioia al ritmo della Carrà e della Pravo, quest’ultima idealizzata dalla madre che ne imitava i gesti, mentre per Dany, gay giovane e risolto, la cantante rappresenta una sorta di icona, una madonnina o un santino da tenere nel portafoglio, tanto che quando, tra citazioni cinefile e visioni stravaganti la vera Patty gli apparirà raggiante da una limousine rigorosamente nera, lo stupore immenso che gli si leggerà in viso sarà quello di scoprirla in carne ed ossa, umana, reale. Le citazioni, appunto, sono tante: Almodovar su tutti, per lo stile spavaldo che Pedrito aveva nei gloriosi Ottanta e per la scena del petto villoso gigantesco che rimanda a Parla con lei, ma anche il film Harvey di Koster per via del coniglio e le implicazioni con la psichiatria; inoltre Ozon e i suoi Amanti criminali e Araki con Mysterious skin; ancora la cultura pop italiana di cui il regista è un ammiratore, per non parlare, concedetemelo, della figura di Tauros identico al Liberace di Michael Douglas, nei modi e negli intenti. Il difficile passaggio dall’adolescenza all’età adulta, lo ius soli, la paternità, i diritti sociali negati ai diversi dalla Norma, l’influenza della televisione coi suoi talent show, i sogni infranti, il sentirsi stranieri in patria, il rifugiarsi in mondi immaginari e deserti come l’albergo Xenia: una vastità di temi da far impallidire anche il più esperto tra i registi, ma Koutras bizzarro e ambizioso lo deve essere davvero se ha preteso e ottenuto a costo di non fare il film che la “divina” Patty, solitamente refrattaria al grande schermo, apparisse – e di apparizione si tratta – in una scena di pochi secondi (pare che il regista si sia trasferito in Italia e abbia impiegato un mese per convincerla ad accettare).
Ancora, il regista ha dichiarato che il casting è durato un anno e mezzo, per tutta la Grecia, perché voleva non solo che gli attori fossero albanesi di seconda generazione, ma anche che l’età anagrafica corrispondesse a quella dei personaggi. Xenia in greco significa ospitalità, accoglienza, e la parola si riferisce anche a tutti i rapporti che regolano ospite ed ospitante; Xenia era il nome della catena di alberghi sorti come funghi nella penisola ellenica durante il periodo di espansione economica ed ora quasi tutti abbandonati; Xenia è l’azzeccatissimo titolo di un film imperfetto e stranamente troppo lungo, eppure bizzarro e originale soprattutto perché girato nel regno dell’indistinto, tra realtà e immagini oniriche che il regista insegue con perizia e quel pizzico di disincanto che ha contagiato ai suoi amati ragazzi. Film politico, indubbiamente. Il lieto fine è assente, sembra rimandato, avverrà nella mente dello spettatore alcuni giorni dopo la visione.
Carlo Camboni
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Cover Amedit n° 20 – Settembre 2014, “VE LO DO IO” by Iano
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