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Pedagogia del vivere quotidiano in carcere

Creato il 21 ottobre 2013 da Girolamo Monaco


C’è, innanzitutto, la realtà quotidiana da
riempire di significati. Il corpo incarcerato trascina la mente in un
luogo psicologico ove il nulla, il vuoto, il non senso dei
comportamenti automatici consegnano la persona a esperienze e vissuti
prive di confine tra il sè e la struttura, il sè e il gruppo.
Lo stesso confine tra il normale e il diverso,
l’adeguato e il non adeguato, l’adattato e il disadattato, la
sanità e la malattia (già labile in altri contesti) diventa assai
più labile, impercettibile.
Le risposte obbligate e spersonalizzate agli input
perentori della struttura rendono il quotidiano esperienza
affettivamente nulla, disinvestita di significati.



La rappresentazione di questo vuoto espone
l’individuo incarcerato a esperienze dilatate per cui taluni
comportamenti autocentrati (soprattutto quelli relativi
all’attenzione per il proprio corpo) assumono significati abnormi
rispetto al normale posizionarsi temporale ed emotivo all’interno
della giornata.
Isola emotiva a parte rimane il complesso delle
esperienze legate ai rapporti affettivi con la famiglia di origine. I
momenti della distribuzione della posta, l’effettuazione dei
colloqui con i familiari, l’orario della telefonata settimanale si
pongono come snodi determinanti di tutto l’assetto della persona,
fino a scandire il ritmo ciclico del passare del tempo quotidiano e
settimanale.



L’esigenza pedagogica di dare dignità al
quotidiano diventa centrale nella prospettiva di un intervento che
valorizzi ogni dimensione della persona, centrando la consapevolezza
circa il proprio destino proprio, a partire dallo sforzo del riempire
di significati tutti i comportamenti umani.



Rendere il significato delle azioni e dei ritmi che
la struttura totale impone, l’alzarsi, il vestirsi, il lavarsi, il
mangiare, il fruire dei momenti di socialità, il partecipare alle
attività trattamentali, abilita la persona a mantenere la
consapevolezza di se stessa, del suo stare nella detenzione, del suo
rapportarsi con la struttura e del suo porsi all’interno delle
dinamiche relazionali.



Posto di fronte al bivio del “senso/non senso”
da attribuire a tutte le normali azioni della vita, l’individuo,
nel riproporsi quotidiano di tale bivio, richiama il sostegno di
impegni consapevoli, talora codificati e contrattati, talora assunti
come gesti di responsabilità, di obbligo e di dovere verso se
stesso.



Tale supporto alle scelte del quotidiano diventa
sotto lo stimolo dell’educatore contenuto di una microprogettualità
che pone l’obiettivo di una consapevolezza matura che problematizza
ogni ambito individuale e relazionale in cui è coinvolta al persona.



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