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Pedalo.

Da Suster
Pedalo.
E io che fine ho fatto? Quando manco da pochi giorni da qui ho la sgradevole sensazione di perdere il filo dei miei pensieri, prima dei contatti con altri. La necessità di mettere per iscritto, nero, su bianco, di dare forma a tutta quella matassa ingarbugliata di idee e concetti, immagini e parole, che io produco in continuazione.
Ma soprattutto quando pedalo. Pedalo in giro per la città, subissata da impegni fittizi, che quasi mi impongo, stabilendo scadenze improrogabili, forse solo per avere l'impressione di essere molto attiva, molto affaccendata, e poi mi perdo tra file alle poste, file alla ASL, file alla COOP, pedalo pedalo e alla fine delle file mi pare di non aver combinato nulla.
No, dai, almeno ho fatto il bucato, almeno ho passato lo straccio, almeno ho fatto la spesa.
Passano un giorno, due e siamo punto e a capo.
Pedalo e penso, pedalo e progetto, pedalo e ho idee brillanti, decine di idee, peccato che poi me ne scordo la metà, l'altra metà non riesco a metterle in pratica quasi mai. Ma prendo appunti mentali quando mi pare di averne una buona, poi mi scordo. E intanto pedalo, che mi rilassa, col cielo sopra la testa, e mi chiedo perché mai il pedalare diventa in genere sinonimo di fatica. Giro giro sempre a vuoto.
Macino ore e già c'è da recuperare la pupa al nido, la metto a letto e non mi basta il respiro che già è sveglia, e via con la "patteggiata", coi giardini, con le "tattaughe" e su e giù per le scale, "andiamo alla galle'ia?", "Mimi, ma ci siamo appena state", e lagne a non finire, e improvvise schiarite, e mezz'ora per salire le scale di casa.
Se siamo uscite in bici, "P'endiamo il patteggino?". Se siamo uscite a piedi "La biticletta-cletta-cletta!". Se le mancano gli argomenti "Anco'a patteggiata!". E "Ma'agià ma'agià è a'ivato il ma'agià".
Mimi, basta, su, sono due ore che passeggiamo, la bicicletta la prendiamo domani, quando andiamo "dagli amici". "ANDA'E DAGLI AMITI! ANDA'E DAGLI AMITI! ANDA'E DAGLI AMITI!"
Uff, che è tardi, già bisogna fare la cena, e anche oggi ho perso La Ghigliottina, vedi un po' tu, se una povera cristiano le togli pure 'sti piaceri innocenti della vita, di vedere Carlo Conti in tv, prima del tg, con tutti quegli imprenditori morti ammazzati che si impiccano alla grondaia di casa, e rabbrividisco al pensiero, quando vedo la sera il Beduino sempre un po' più stanco, che parla solo di IRPEF e di mutuo, e di soldi e di perdite e di Libia, che poi sarebbe la sua America, dove tutto è un pochino più facile e il futuro è più luminoso.
Ecco pupa, è pronta la pappa. "Tuccodimela tuccodimela!" va bene tieni, non lo rovesciare eh, che mamma si arrabbia davvero stavolta. Cazzo, Mimi, ma perchè minchia lo rovesci sempre, eh? Lo fai apposta?
"Raccoglia'e pomodo'o". Ecco tieni. "NOOOO! 'Accoglie Mimi pomodo'ooooo!" Mimi basta lagne eh! Raccogli 'sto (cazzo di pomodoro). Che è non ti va più la pappa? La tolgo? Va be' basta. Aspetta che mamma prepara la cena per lei e babbo. Senti senti, è arrivato babbo!
Dai, si mangia, che è tardi, devo addormentare la pupa che se no dopo è isterica e ci metto tre ore.
Ah, ma tu ora vuoi mangiare eh! Ma che glie la fai a fare la pappa, aspetta che torno e mangiamo insieme, no?  Sì, vabbè, ma te non si sa mai a che ora arrivi e lei di punto in bianco sclera che vuole la pappa.
E poi ora si va a letto. Uff, è finita un'altra giornata, ma com'è che il tempo non basta mai? Tutto di corsa, sempre, tutto incastrato. Dai, andiamo a lavare i denti, mettiamo il pigiama. Dice tata Lucia che i bambini già a un anno e mezzo dovrebbero dormire da soli. E vabbè allora che venga tata Lucia a metterla a letto. Io faccio così, a me va bene, anche se poi facciamo il wrestling sul materasso fino alle undici e mezza se va bene, e poi riemergo piuttosto sfatta dopo essermi consumata la voce a furia di Pinocchio, intramezzato da stralci di sogno nel dormiveglia incombente, e lei mi tira calci nello stomaco, come quando stava dentro, e con la stessa determinazione me li puntava sulle costole, quei santi piedini.
E' che a volte l'adoro e mi sembra di non poter più vivere senza. Altre volte la detesto e non la sopporto più, non ci sto dietro, a tutte quelle lagne, e un poco rimpiango i pomeriggi in terrazza, a primavera, con un libro, a farsi accarezzare la pelle dal vento e dal sole, avere tempo per fare, con calma, una cosa alla volta, non avere sempre le ore contate.
Ma poi la sento che declama filastrocche imparate altrove, e che si capisce mezza parola ogni tre, la sento che fa i suoi cazziatoni a mosche e a lucertole, che chiede a "Pantumen" se vuole venire connoi, che inventa fiabe per il gatto Amleto, che canta riempiendo le parole che non sa con "Mh mh mh" e inventa nomi per i suoi pupazzi, saluta la luna e le dice "vieni da Mimi!" saluta l'Arno e gli dice "come ttai?" saluta il sole e gli dice "Ti vediamo domani!", analizza parentele e improvvisa censimenti ovunque vada (come ti chiama?), e allora mi chiedo come sia possibile tutto ciò, che questa qui si sia presa tanta parte di me, e del mio mondo, e del mio amore, e mi dico che amare è più facile quando tutto va sempre bene, che mi si chiede di amare a prescindere, al di là degli scleri, della stanchezza e dei giorni che boccheggi e non riesci a stare a galla, e ti chiedi se stai andando da qualche parte o se stai ferma da tempo, pure se ti agiti peggio di  uno che balla la pizzica male.
E poi sera e mattina, e un altro giorno ancora.

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