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Pedofilia come malattia: il caso Chiatti e San Francesco

Creato il 24 marzo 2013 da Cremonademocratica @paolozignani

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Va tenuto presente questo link, cui ci si richiama per una riflessione dello psichiatra Vittorino Andreoli http://terradinessuno.wordpress.com/biblioteca-di-terra-di-nessuno/vittorino-andreoli-la-pedofilia-come-malattia/.

Nella foto Luigi Chiatti, noto anche come Mostro di Foligno. Vittorino Andreoli è professore Ordinario di psichiatria nell’Università di Verona. L’articolo qui riprodotto è stato pubblicato per la prima volta in G. CHINNICI (a cura di), Sulle tracce della pedofilia. Aspetti psicologici, criminologici, etici e giuridici, Palermo 2004, 85-92.
La pedofilia è una malattia: è questa una affermazione decisa che non vuole condurre ad una semplificazione eccessiva, quanto ad un inquadramento necessario per chiarire il fenomeno e disegnare coerentemente modalità terapeutiche di intervento.
Nel dire che la pedofilia è malattia, tuttavia, non intendo ridurre questo comportamento ad una malattia biologica. Sono ben lontano dal ridurre il problema ad una alterazione di qualche molecola, più o meno “impazzita” dentro il cervello.
La malattia come realtà che induce un comportamento anomalo, sulla base di pulsioni, di funzioni che il soggetto non è in grado di dominare, o comunque non di controllare totalmente. Il concetto di malattia riporta quindi anche all’ambiente sociale, all’agire del singolo nella comunità da cui emergono difficoltà tali da non permettergli una convivenza accettabile, e che anzi lo porta fuori la norma.
A questa precisazione occorre aggiungerne un’altra, di estrema importanza, e cioè che non do affatto per scontato che, se la pedofilia e, come io sostengo, una malattia, il comportamento privi di responsabilità chi lo mette in atto.
Insomma, sebbene vi sia negli atti del pedofilo un forte contributo “morboso”, ciò non toglie la sua responsabilità, né le conseguenze penali.
Nel nostro sistema, la responsabilità penale è legata all’analisi del soggetto nel momento in cui ha attuato il comportamento che la legge persegue, mediante un accertamento che valuti se in quel preciso istante sussistevano alcune condizioni che il codice penale ritiene necessarie per poterne affermare la responsabilità, e quindi per punirlo.
Quando mi riferisco alla pedofilia come ad una patologia, non intendo attribuirle un contenuto soltanto fisico, causato da un disturbo molecolare né è mia intenzione annullare la responsabilità di chi tenga determinati comportamenti dietro allo schermo della malattia.
Oggi sappiamo che persino un disturbo mentale grave, come la schizofrenia, può benissimo essere compatibile con la capacità di intendere e di volere del soggetto nel momento in cui il fatto è compiuto e quindi compatibile con la punibilità del soggetto.
Insomma la mia posizione non è certamente quella di aprire una via per dare una specie di assoluzione generale ai pedofili, cosa che, peraltro, non rientrerebbe nemmeno nei miei compiti.
Ricordo a questo proposito uno dei grandi casi di cui mi occupai e che aveva colpito particolarmente 1′opinione pubblica italiana su questo tema: il caso Chiatti. Nel 1991, su incarico della magistratura, studiai la personalità di Luigi Chiatti e lo ritenni capace di intendere e di volere al momento del1′omicidio di due bambini, che aveva prima sottoposto ad abuso sessuale. Per questo in primo grado fu condannato a due ergastoli.
Nel parlarvi ora di pedofilia come malattia, tenete presente che ciò non ha nulla a che fare con la non imputabilità.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità include la pedofilia nell’ambito dei disturbi del comportamento sessuale.
È dunque incluso nell’elenco delle malattie. Si tratta di un manuale che viene aggiornato ogni quattro anni e che comprende tutte quelle situazioni e quelle categorie di deviazione del comportamento che sono da definire di interesse sanitario e, pertanto, degne di poter essere curate, distinguendo tra patologia e non patologia.
Oggi la pedofilia è inserita nell’elenco delle malattie, mentre, per esempio, non lo è più 1′omosessualità, che è stata cancellata nel 1992.
Chiunque facesse attualmente una diagnosi di omosessualità, includendola come malattia, sarebbe perseguibile perché non solo commette un errore dal punto di vista sanitario/ ma compirebbe una discriminazione.
Senza addentrarmi in un tema che qui non sono chiamato ad affrontare, tuttavia ritengo necessario che si sappia che si tratta di due capitoli completamente diversi: la malattia clinicamente intesa e la responsabilità secondo il diritto.
Quando 1′Organizzazione Mondiale della Sanità riconosce alla pedofilia lo status di patologia, ne offre anche una definizione che, sebbene possa sembrare convenzionale, e tuttavia molto utile a delineare 1′ambito e le caratteristiche principali del fenomeno con cui siamo costretti a confrontarci.
Pedofilia ha un’etimologia greca e significa “amore per i bambini”. In realtà è un nome inaccettabile, in caso dovrebbe essere “pedofobia”, perché nei comportamenti di cui parliamo non c’e nulla che ricordi neppure vagamente 1′amore. Tuttavia questo è il termine in uso.
Oggi il concetto di pedofilia come malattia, oltre che nell’elenco stilato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, e inserito nel DSM-4, il manuale di riferimento per i disturbi mentali. In esso appare tra le cosiddette parafilie, quelle particolari anomalie del comportamento che si fondano su fantasie, impulsi, eccitazione, legati a situazioni e oggetti del tutto particolari o anomali. Si trova nello stesso gruppo in cui si situano il feticismo il voyeurismo, il masochismo, il sadismo sessuale.
Nel caso della pedofilia 1′oggetto è il bambino.
Secondo la classificazione del DSM-4, il pedofilo è prima di tutto un individuo che ha compiuto i 16 anni.
È questa una prima convenzione molto significativa, perché sottolinea come ne sia esclusa tutta la prima adolescenza, un periodo in cui ci sono dei particolari comportamenti net confronti del corpo che muta e della sessualità, che possono coinvolgere anche i bambini. Insomma, per poter fare diagnosi di pedofilia bisogna che il soggetto abbia compiuto 16 anni e, inoltre, che esprima un comportamento di attenzione reiterato nel tempo, continuativo. Il Manuale precisa che debba permanere almeno sei mesi.
Non nascondo che questo tipo di classificazione possa rivelarsi talvolta riduttivo, eppure è molto utile per richiamare 1′attenzione alla cautela e impedire il rischio che avvengano abusi diagnostici.
Bisogna insomma stare attenti a non farsi travolgere da una psicosi di sospetti, per cui un fratello o uno zio affettuoso finiscano facilmente per diventare “mostri”. Secondo la definizione del DSM-4, allora, se un soggetto ha compiuto 16 anni e ha delle fantasie sessuali nei confronti di un bambino, per questo solo fatto non si può definire pedofilo se quell’agire non ha la continuità che richiede un comportamento per essere definite malessere.
Inoltre per configurarsi come pedofilia le fantasie e le attrazioni di tipo sessuale devono essere rivolte ad un bambino, ossia ad un soggetto prepubere. Non è più pedofilia se coinvolge un soggetto che abbia raggiunto la maturità sessuale.
Il concetto di pedofilia come malattia entra nell’uso nel 1905, a seguito degli studi del comportamento dello psichiatra svizzero Auguste Forel, che per la prima volta lo distingue e lo descrive come patologia.
Oggi sappiamo che, per configurare un comportamento pedofilico, è necessario 1′insieme di un soggetto che ha fantasie – e lo sottolineo ancora, fantasie, desideri, assai prima di azioni -, e di un altro, che è un bambino prepubere. Ciò significa che esiste un bambino coinvolto in questa relazione. Un bambino che, spessissimo, dopo una prima esperienza ricerca il proprio abusatore. E lo fa esattamente in senso fisico.
Vorrei qui inserire subito un rilievo sul profilo sociale dei bambini a rischio: proviamo a pensare ai bambini che trovano nell’attenzione anomala e orrenda del pedofilo 1′unica modalità per sentirsi “oggetto di amore”. Si tratta spesso di un bambino abbandonato affettivamente, solo dunque all’interno della famiglia o all’interno della comunità, che finisce per aspettare con ansia 1′incontro gia accaduto con il pedofilo, perché in qualche modo è l’unico che gli chiede e gli dà attenzione.
Siamo abituati a pensare alla famiglia in maniera stereotipata, come una protezione, mentre è proprio questo il vero scenario in cut si consumano più spesso i drammi della pedofilia.
Provate ad immaginare una famiglia che è costretta a vivere in un monolocale o un luogo angusto, tenuta insieme più dalle mura domestiche che dall’affettività. Tante solitudini che si sfiorano, e tra esse quella del bambino che si abitua a non avere attenzione e ascolto. Ma quando accade che quel padre, quello zio o quell’amico ricercano in lui qualche aspetto del suo corpo, si sente d’un tratto amato.
È tremendo, tristissimo, ma anche molto importante realizzare che esiste un bambino a rischio, ed è il bambino non amato.
Naturalmente non intendo creare degli stereotipi ma bisogna che nello stesso momento in cui ci occupiamo del pedofilo, cioè di colui che agisce, teniamo conto anche dei bambini i cui comportamenti si indirizzano e che intessono, in qualche modo, una relazione con il pedofilo. Questi bambini spesso si accorgono di essere oggetti esistenti solo quando si tirano giù i pantaloncini e spesso lo fanno ancora prima che gli venga richiesto. Come se ambissero a loro volta attenzione, ma anziché un amore spontaneo accettassero giochi di tipo erotico.
In questo rapporto anomalo (malato) bisogna, pertanto, tenere conto del pedofilo ma anche della situazione dei bambini, soprattutto nella logica dell’intervento sociale che non dovrà limitarsi al pedofilo ma estendersi al1′analisi delle famiglie, a fare in modo che possano essere presenti e dare affetto ai bambini, perché se il bambino trova amore all’interno della famiglia diventa più difficile che cerchi altre attenzioni, o che le accetti. Di sicuro corre un rischio minore.
Parlare della pedofilia come malattia significa anche apprestare una terapia, quella possibile in questo momento e che deve tenere conto del fatto che non esiste una ricerca sulla pedofilia come malattia, ed è anche 1′unico modo per evitare di creare 1′equazione per cui il solo sospetto già divenga una condanna.
Allora, pur correndo il rischio della schematizzazione, vorrei ora illustrare i tre trattamenti possibili, nessuno dei quali ha un significato terapeutico se preso isolatamente ma solo nell’interazione con gli altri.
Innanzitutto dobbiamo tener conto della biologia e quindi, per esempio, bisogna valutare qual è, nel pedofilo, 1′assetto ormonale.
Sappiamo che il testosterone ha la forza di incrementare il desiderio e quindi 1′impulso all’azione.
Se riscontriamo che in un soggetto quest’ormone è alterato abbiamo tutti gli strumenti per poterlo affrontare in maniera farmacologia, senza ricorrere a interventi di perversione sociale, come la castrazione che chiamiamo chimica ma che in realtà è una forma di violenza, da Tribunale dell’Inquisizione.
Insomma se gli ormoni non funzionano, ci sono strumenti per poterli regolare.
Questo, tuttavia, non basta a ridurre il rischio sociale prodotto dalla pedofilia né ad aiutare il malato.
A questa forma di intervento, infatti, deve associarsi una attività terapeutica rivolta non all’organismo ma alla ideazione. Prima di agire nel teatro della cronaca, dove si compiono i reati, il pedofilo agisce nello spazio mentale e lo fa ripetutamente.
Luigi Chiatti incontrò la prima vittima, di 4 anni, il 4 ottobre. Me lo disse lui, e quella data rappresentò un elemento importante perché, aggiunse, lui era un devoto di San Francesco, che viene onorato quel giorno. Chiatti lesse quella coincidenza come una specie di dono, perché sosteneva di amare i bambini. Ogni giorno, rammento, usciva in macchina alla ricerca di un bambino su cut riversare quella perversione che chiamava amore e confessò, anche quand’era in carcere, che, se fosse uscito, avrebbe subito ricominciato a farlo.
Questo esempio sottolinea il ruolo cruciale dell’attività d’ideazione nelle azioni di pedofilia. Un’elaborazione della fantasia, che viene sollecitata da gesti che preparano il reato.
Chiatti mi raccontò che spendeva i propri soldi per comperare oggetti da bambini e durante le indagini, nella sua casa, venne rinvenuta una cassa piena di biancheria intima per bambini, perché lui immaginava la propria vita con un bambino.
Sappiamo che ogni attività di tipo sessuale e quindi anche le patologie di questa natura sono vissute prima di tutto dentro la nostra mente.
Dobbiamo allora fare in modo che 1′elaborazione fantastica del pedofilo venga interrotta: solo quando il desiderio verra controllato, avremo la certezza che si potrà evitare anche il comportamento, perché non si tratta, in questi casi, di un gesto impulsivo, nel senso del raptus e automatico, ma invece 1′atto diventa 1′ultima tappa di un percorso ben programmato.
Nel pedofilo il pensiero dell’atto sessuale è ossessivo, come una idea coatta che spinge a immaginare continuamente 1′azione sessuale con un bambino.
Bisogna dunque applicare tutte quelle tecniche che si userebbero di fronte a un ossessivo, sia dal punto di vista farmacologico sia dal punto di vista delle terapie della relazione.
Accanto all’aspetto organico e a quello dell’ideazione, c’è un terzo elemento che va preso in seria considerazione per approntare una terapia che funzioni, ossia 1′affettività. Per raggiungere un risultato sulla patologia del pedofilo, dobbiamo modificare la sua affettività.
Freud sosteneva che un pedofilo è un bambino che cerca un altro bambino. Oggi sappiamo che il 45% di coloro che mettono in atto abusi sessuali su bambini sono stati a loro volta abusati nell’infanzia. E questo dato parla chiaro a tutti coloro che sono ancora restii a considerare la pedofilia una malattia. Insomma, se i pedofili provengono per il 45% dei casi da una storia infantile di abuso, ciò significa che, in qualche modo attraverso questi comportamenti il pedofilo ritorna ad essere un bambino, quasi rivivesse 1′infanzia, quell’infanzia traumatica.
Spessissimo nel pedofilo convivono le due nature di vittima e carnefice, un uomo che si vede contemporaneamente nella sua fantasia come colui che abusa e come colui che vene abusato, cioè come 1′oggetto dell’abuso.
Per affrontare questo aspetto della terapia occorre applicare tutte le tecniche dei relazione e analitiche della personalità che rimuovendo ostacoli alla crescita permettono di portare il pedofilo ad una maturità affettiva.
Per trattare in maniera terapeutica un pedofilo, questi sono gli strumenti che abbiamo oggi a disposizione, sebbene sia auspicabile che si investa nella ricerca e credo che il pedofilo certo è un oggetto della giustizia della repressione e va fatta con tutte le forze, ma oltre alla punizione, bisogna anche cercare un modo per curarli.
Verso un protocollo di intervento
Riportiamo ora in sintesi i criteri curativi del pedofilo in una sorta di protocollo di intervento, a sottolineare in maniera ancor più decisa 1′impegno alla cura, i suoi criteri e naturalmente lo schema operativo deve anche essere la base per ulteriori aggiunte e miglioramenti che si leghino anche alla specifica esperienza.
Il termine malattia indica una sofferenza da alleviare da parte dei medici e altri operatori in virtù di una disciplina scientifica.
Ci sono malattie (come il diabete) di cui è stata scoperta la causa e gli strumenti per correggerla, altre (come l’ipertensione) per le quali sfugge la causa ma sono note alcune correlazioni (colesterolo, trigliceridi, stress) che si possono correggere e così tenere a freno la pressione sanguigna, ci sono quadri patologici di cui si ignorano anche le correlazioni e allora il trattamento non solo non è di grande effetto, ma segue soltanto delle ipotesi: tra questi molti dei disturbi psichiatrici. È evidente che ogni malattia deve essere scientificamente studiata per poterla trasformare da un ignoto ad una conoscenza via via più profonda che permette una cura più efficace. Una medicina senza ricerca medica è destinata a rimanere povera. Occorre affermare che la pedofilia è un comportamento poco studiato: attualmente non si sono destinati fondi per sostenerne la ricerca. Ciò non toglie che il pedofìlo venga curato e che siano molti i pazienti in trattamento. Un intervento che non si allontana da un costume psichiatrico che deve affrontare patologie per molti aspetti ancora sconosciute.
Da un punto di vista terapeutico sono tre gli obiettivi che si devono raggiungere e tre gli strumenti terapeutici usati, per lo più in maniera contemporanea:
1. L’attività ormonale: occorre valutare l’aspetto degli ormoni e particolarmente del testosterone. Se come spesso accade ci sono alterazioni si devono correggere. Quando si nota una iperproduzione di testosterone (a cui si attribuisce il desiderio e la voglia sessuali) si devono usare dei farmaci che ne rallentano o bloccano la produzione. Farmaci disponibili , sviluppati per correggere alcuni tumori che comportano forti secrezioni di testosterone. Come medico mi rifiuto di usare termini che sanno solo di violenza e abbondantemente usati come “castrazione chimica”, accetto e anzi è doveroso controllare una produzione eccessiva di ormoni sessuali, una volta dimostrata.
2. L’attività ideativa : il pedofilo ha una ideazione coatta, meccanica, tutto gira attorno all’idea di trovare un bambino e di usarlo affettivamente e sessualmente. Una ideazione che difficilmente egli riesce a contenere e in ciò richiama l’ideazione dell’ossessivo. Da questo punto di vista il pedofilo è un ossessivo. Esiste uno schema di terapia per questi disturbi e farmaci capaci di allentare la meccanica ideativa che innesta il bisogno di trasformarla in azione. Si impone dunque di trattare il pedofìlo con i mezzi farmacologici usati nell’ideazione ripetitiva e coatta.
3. L’affettività: la pedofilia è un disturbo della sessualità, ma come è noto la sessualità è una espressione dell’affettività e cioè della capacità del singolo di stabilire relazioni sentimentali. Ebbene sulla base di un dato statistico secondo cui il 45 per cento dei pedofili ha subito a propria volta violenza pedofilica, e di una osservazione psicodinamica, che si lega ancora a Freud, secondo cui il pedofilo è un “bambino” che cerca relazioni con un altro bambino, si impone di analizzare la personalità del pedofilo per promuovere la rimozione di quegli ostacoli che ne hanno bloccato lo sviluppo affettivo e dunque anche sessuale. Questo aspetto lo si può affrontare con lo strumento della psicoterapia. Una relazione terapeutica che permette al pedofilo di “vedere” la propria vita infantile e di riuscire a uscirne nel senso della maturità. In diversi casi tra i miei pazienti, essi immaginavano nelle fantasie pedofiliche di essere pedofili e contemporaneamente i bambini abusati. Ecco un segnale di quella identità e fissità al mondo dell’infanzia di cui si è accennato e a cui la psicoterapia deve rivolgersi.
Questa terapia è efficace anche se richiede i tempi della psichiatria e io spero che i pedofili decidano di sottoporsi alle cure. La sola maniera razionale perché una malattia non divenga criminalità.
Questa terapia, nel suo insieme, deve anche essere applicata in carcere in chi è stato condannato. Pur non essendo certo il luogo ideale alle cure psichiatriche, il carcere non le rende inutili e certo si ovvia alla prassi per cui si rilasciano pedofili che non hanno partecipato ad alcuna terapia. Si deve non dimenticare che il pedofilo accetta il più delle volte l’aiuto terapeutico correttamente proposto.
Una consapevolezza che fa di questo malato un uomo comunque responsabile del suo comportamento e quindi per questo punibile.
Assieme alla maggiore severità della pena io chiedo anche la garanzia della cura.

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