Diciamolo senza tanti giri di parole e soprattutto evitando di cadere nella trappola micidiale costituita dalla frase “sui gusti non si disputa”. Il logo che è stato scelto per il marchio della Fondazione Dolomiti-Unesco (quella che dovrebbe fornire un contributo alla conservazione ed allo sviluppo sostenibile delle Dolomiti) è di una bruttezza più unica che rara. Quattro forme stilizzate – in teoria cime montane, in pratica grattacieli – spuntano da un cumolo di neve. Dietro uno sfondo rosso che odora di plastica e vernice. A fianco quattro scritte (Dolomiti, Dolomiten, Dolomites, Dolomitis) in grigio metallico. Più che un patrimonio dell’umanità, il logo ricorda un’insegna per un’azienda di profilati. Chissà come è stato possibile arrivare a tanto.
Tecnicamente, la spiegazione è semplice. È stato fatto un concorso, al quale hanno partecipato più di trecento concorrenti, e una giuria, composta da cinque persone, ha deciso. Et voilà, les jeux sont faits. Senza voler pensare male, dovremmo supporre che i progetti “perdenti” siano stati di livello addirittura inferiore a quello che ha trionfato (un trionfo che, per inciso, porta in dote agli artefici la cospicua somma di trentamila euro). Spiegazione semplice ma un po’ deprimente. Anche se il logo con i quattro “grattacieli dolomitici” fosse risultato il “meno peggio”, qualcuno, con un sussulto di ribellione estetica, avrebbe dovuto impedire che si realizzasse una scelta del genere.
Tra i molti commenti di sdegno che si sono spontaneamente levati alla vista di cotanta bruttura, spicca per contrasto quello dell’assessore all’urbanistica, all’ambiente e all’energia della Provincia di Bolzano Michl Laimer: “si tratta – ha dichiarato – di un logo molto riuscito, graficamente gradevole e incisivo, ma anche del tutto funzionale e appropriato ai nostri scopi”. Visto che l’immagine della quale stiamo parlando ha la perversa capacità di trasformare un magnifico paesaggio naturale in una quinta di vetro e cemento, non è il caso di sottovalutare quali potrebbero essere gli scopi che ha in mente l’assessore Laimer.
Due anni fa, ricorderete, una rana crocifissa esposta nel Museion di Bolzano scatenò l’ira funesta di molti cittadini. Qualcuno fece persino uno sciopero della fame pur di rimuoverla dal muro sul quale era appesa. Anche se il logo non ambisce certo a qualificarsi come opera d’arte, il danno causato in termini di gusto e sensibilità rispetto all’oggetto che vorrebbe rappresentare reclama a mio avviso una reazione altrettanto veemente. Magari servirà a nulla – difficile, se non impossibile, che si torni sulla decisione presa –, però sarebbe comunque un segnale da dare.
Corriere dell’Alto Adige, 10 novembre 2010