I Monologhi di Sana – Rubrica
Com’è che è successo?
Me lo chiedo ogni tanto,
come sono arrivata qui?
E finisce sempre che alzo le spalle
boh, il caso, il fato….destino?
O forse qualche divinità sorniona ha truccato tutti i dadi,
spostando le pedine sulla mappa,
per farmi arrivare a quel giorno d’estate
in cui ho scoperto la meraviglia dell’essere me.
È una storia di piccole screziature,
casualità inenarrabili,
che si sono incrociate al momento giusto,
nei posti giusti,
con le persone più impensate.
Sorrido.
Ripenso a tutti i passi compiuti,
le incertezze di una vita che finiva
senza una speranza che fosse una.
E poi, non ricordo come, è sorta la luna
la mia Penelope è apparsa per salvarmi.
Condividemmo sogni e lacrime.
Mi costrinse a sognare sogni più grandi e più belli
di quelli che avessi mai osato fare.
Ora realizziamoli, mi disse.
Le risposi che no, non si può.
Mi rise in faccia e mi disse che certo, certo che si può.
Fu in una notte d’inverno che qualcuno mi raccolse,
di me non restavano che schegge spezzate,
e faceva freddo, tanto, dannato, insistente freddo.
Per un anno intero, ogni notte, la mia Penelope ha intessuto le schegge
perchè ricomponessero la coperta che mi copriva l’anima.
Ero debole come un’ostrica senza guscio.
Esposta alle intemperie della vita.
Le ha cucite assieme, con amore, aggiungendo stoffa dove quella vecchia era stata ridotta a brandelli.
Era primavera quando ho rivisto la luce del sole, ricordo che bruciava gli occhi come il fuoco.
Ma per me, che avevo passato sei mesi all’inferno, la strada era ancora lunga.
Come era strano respirare aria che sapeva di nuovo e di fresco.
Fu quell’estate che mi incamminai incerta per le vie del mondo.
Penelope mi teneva la mano per non lasciarmi cadere.
Ero timida e spaventata come un cardellino.
Osservavo il mondo curiosa da dietro le sue spalle, ancora troppo terrorizzata per venirne fuori.
Ricordo come è stato difficile imparare a parlare di nuovo.
A come Amore.
B come Bacio.
C come Credere.
Penelope mi insegnava a dire le parole che mi roteavano nella testa, ogni volta, una per ogni stella nel cielo.
Arrivammo alla lettera P.
La guardai tremando, conoscevo questa lettera.
P come Paura.
Penelope mi sorrise, annuendo
P come Paura,
va bene, tutti abbiamo paura di quando in quando,
ma anche P come Perseverare, come Prospettiva, come Promessa.
Le dissi che non credevo alle promesse, mi rispose che dipende da dove le tieni…se nella testa o nel cuore.
Comunque, promesse non me ne fece.
Mi portò sui prati pieni di sole, io poggiavo i piedi nell’erba, traballando, insicura.
Penelope mi teneva la mano, ma con i giorni era sempre più distante,
finchè un pomeriggio d’inverno mi lasciò e mi disse “ora prova da sola”.
La paura si fece lancinante.
Il cuore mi batteva a tremila, non ero mai più stata sola.
Mi disse di provare, di provare e di provare ancora,
ma io ero immobilizzata dal terrore.
Quando alla fine chiusi gli occhi e mi lasciai andare sentii le braccia di Penelope stringermi
- Credevi che ti avrei lasciata cadere? – e mi sorrise – Non fa niente, riproveremo domani -
Riprovammo, ancora e ancora e ancora.
Finchè non imparai a camminare da sola, di nuovo.
La sera ero stanca da morire, mi stringevo nell’abbraccio di Penelope e ascoltavo il suo cuore battere, e ripetevo le parole che mi aveva insegnato:
A come Amore, B come Bacio, C come Credere, e poi, L come Luminoso, F come Fantastico, M come Mago, D come Donna.
A volte, ma solo a volte, mi svegliavo piangendo nel cuore della notte, terrorizzata dai mostri del passato; allora Penelope mi accarezzava il viso e mi asciugava le lacrime: “le tue paure, lasciale a me” mi diceva.
E sorrideva rassicurante.
Mi raccontò di posti magnifici, e uomini straordinari, di cose bellissime e imprese incredibili.
Penelope inventava storie per farmi amare la vita.
Un giorno scoprii una coperta piena di buchi sul fondo di un armadio, Penelope mi disse che era la sua.
Così iniziai a ricucirla, proprio come lei aveva fatto per me.
Quando l’ebbi finita ci guardammo l’un l’altra: le nostre coperte avevo tante toppe, ed erano piene di rammendi e pezzi strani.
Le dissi che secondo me le coperte di chi ha amato profondamente dovevano essere tutte così, piene di rammendi.
Però erano belle,
e colorate.
Penelope annuì.
Non mi parlava mai delle sofferenze del suo cuore.
Ma quando la vidi nuda scoprii che aveva le mie stesse identiche cicatrici, anche se alcune erano più vecchie e scolorite.
Le baciai una per una, e le dissi che avrei voluto guarirle; mi rispose che alcune cicatrici non guariscono più, ma col tempo fanno meno male.
Quel giorno Penelope mi insegnò la Speranza, la Fiducia, l’Affetto.
Ci stendemmo vicine, sotto le nostre coperte.
Mille giorni dopo, una mattina, notai una cosa che non avevo mai visto prima: alla coperta di Penelope mancavano dei pezzi che sembravano combaciare perfettamente con le toppe sulla mia.
Le chiesi perchè.
Penelope mi sorrise, e mi spiegò che aveva tagliato via la stoffa dalla sua coperta per ricucire la mia, “in quel momento ne avevi più bisogno tu”.
Pensai che non era giusto.
Così tagliai dei pezzi alla mia coperta e li cucii sulla sua, a tappare i buchi.
Penelope sembrava felice e mi disse che ora qualcosa di suo era per sempre nella mia anima e qualcosa di mio era per sempre nella sua.
Le chiesi di cucire assieme le coperte, così anche le anime sarebbero state per sempre vicine.
Scosse la testa e mi spiegò gentilmente che ogni anima deve essere una, la mia era la mia e la sua, la sua.
Che cucire le anime assieme era sempre uno sbaglio.
Piansi, perchè non volevo pensare che sarebbe potuto esistere un giorno in cui le nostre anime si sarebbero lasciate.
Penelope stese le coperte sul pavimento, una accanto all’altra.
Lo vedi? Mi chiese.
E io lo vedevo.
Messe vicine le coperte formavano un sacco di disegni bellissimi, metà era sulla mia coperta, e metà sulla sua.
Erano tutti colorati e pieni di meraviglia.
Le chiesi cosa significasse, dato che nessuna di noi aveva seguito uno schema nel cucire.
Mi rispose che quando due anime si amano davvero non c’è alcun bisogno di cucirle assieme, stanno vicine da sole, e costruiscono cose belle.
E non si allontanano mai? Chiesi.
Forse, un giorno, succederà, magari i disegni sulla tua coperta cambieranno, e anche sulla mia, ma i pezzi di anima che ci siamo scambiate resteranno lì per sempre.
Ci spogliammo e ci avvolgemmo nelle coperte, coprendoci anche la testa.
Era buio e non vedevo, però sentivo il respiro di Penelope mischiarsi al mio, sentivo il suo calore.
Fuori pioveva, perchè era già arrivato il secondo inverno.
Ma io, non avevo più paura.
Pensai che Penelope aveva ragione, stare vicino era molto meglio di stare legati.
E così doveva essere per le anime pure.
Se poi ti vuoi staccare, con una cucitura finisce che ti fai male e strappi qualcosa.
Fuori il vento portava le voci dei miei mille mostri.
Lo sentivo agitarsi tutto intorno alle nostre coperte.
Se Penelope non avesse ricucito con amore la mia, sarei morta di freddo.
Così ho sorriso, e le ho dato un bacio.
Ho pensato che due anime che stanno vicine per loro volontà sono molto più forti e più stabili di due anime legate, che invece sono solo un pezzo di una cosa confusa, che non si capisce mai cosa sia.
Il vento ululava forte, e mi chiamava, diceva che era venuto per me, per portarmi via.
Ma io sapevo che sotto le coperte non poteva entrare.
Penelope mi chiese se avevo paura.
Le dissi che un pochino si, ma anche che avevo imparato che tutti hanno un po’ paura, a volte.
Dissi al vento di andarsene via, che con lui non sarei andata.
Mi rispose ridendo che se volevo che se ne andasse dovevo batterlo a una gara di parole.
Iniziò lui, disse:
O come Obbligare, V come Violenza, T come Terrore, D come Devastazione.
Penelope mi sorrise rassicurante e annuì.
Io sapevo di sapere le parole, perchè lei me le aveva insegnate.
Così, parlai al vento:
O come Opportunità, V come Verità, T come Tesoro, D come Desiderio.
E anche:
I come Insieme.
T come Ti.
A come Abbiamo.
F come Fregato.
Il vento si zittì di colpo.
Avevo vinto.
Misi la testa fuori dalla coperta e guardai: del vento e dei mostri non era rimasto che uno specchietto tutto crepato.
Presi uno dei colori che mi aveva dato Penelope, il più bello di tutti, quello che mi piaceva di più.
Scrissi sulla superficie la prima cosa che mi veniva in mente “ Omnia Vincit Amor.”, l’Amore vince ogni cosa.
Amor vincit omnia – Caravaggio, 1603